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Anita Macchioni

Intervista ai The Stando: Vecchie radici, frutti freschi

Intervista ai The Stando: Vecchie radici, frutti freschi

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Come creare qualcosa di nuovo ispirandosi a band cult del passato? I The Stando, tra i 18 e 20 anni, ce lo dimostrano con l’EP omonimo, dal dichiarato obiettivo di rinfrescare la scena musicale rock con un approccio giovane ed aperto alle contaminazioni. E così lo Yellow Submarine dei Beatles diventa una Yellow Jeep, e noi abbiamo voluto saperne di più.

Federico Singaraj – batteria

Mattia Sciarretta – chitarra solista

Alessandro Onorato – basso

Gabriele Cipolla – voce

Andrea Sarappo – chitarra ritmica e tastiere

https://www.instagram.com/thestando/

Perché sono nati i The Stando e perché vi chiamate così?

Federico: Andrea, Alessandro e Mattia suonavano insieme, avevano una loro band. Un giorno erano andati a fare delle prove al Sonika e dopo sarebbe stato il turno mio e di Gabriele. Avevano finito il loro tempo a disposizione, ma stavano ancora mettendo a posto gli strumenti, così io sono entrato coi miei piatti per montare la batteria e ho iniziato a suonare. Il chitarrista, che stava ancora sistemando le sue cose, ha iniziato a suonare insieme a me e così io e Gabriele ci siamo resi conto che forse sarebbe stata una bella idea quella di fondere i nostri due gruppi per crearne uno più completo.

Gabriele: Il nome è strano, però è molto banale da spiegare. Semplicemente io e Alessandro eravamo già amici e, quando uscivamo d’estate con altre persone, scherzavamo sul fatto che stavamo sempre fermi in piedi come dei cartelli stradali, e chiamavamo questa cosa “stando”. Da li è nata l’idea di chiamare il nostro gruppo The Stando. È un nome semplice da ricordare e che rimane in testa, adatto a una band.

Quali sono le vostre influenze musicali?

Federico: Io, come batterista, sono stato influenzato un sacco da John Bonham, i Led Zeppelin e Ringo Star dei Beatles. Come artisti moderni ci sono i Tame Impala, mi piace molto il loro sound complesso con i piatti che riempiono veramente il mix, nonostante rimangano in sottofondo.

Mattia: Io dico semplicemente che mi piace ascoltare folk, come Bob Dylan e Johnny Cash.

Alessandro: Come gli altri anche io apprezzo molto i Beatles, ma anche band degli anni ’90 come i Red Hot Chili Peppers e gli Arctic Monkeys, indie rock insomma.

Gabriele: Io sono nato con i Beatles, poi grazie a mio padre ho scoperto i Foo Fighters. Ho avuto un periodo in cui ascoltavo grunge. Non è che abbia un’influenza in particolare, ascolto un po’ di tutto. A volte anche jazz, in particolare Bill Evans che mi aiuta a trovare ispirazioni diverse dal solito. Entrare in nuove atmosfere musicali è fondamentale.

Andrea: Principalmente David Gilmour e i Beatles tantissimo, George Harrison è il mio preferito. Poi anche i Muse, però tutto sommato anche ciò che ascoltano gli altri finisce per colpirmi e mi interessa, quindi non mi metto paletti.

Qual è il momento migliore per ascoltare la vostra musica?

Tutti: In macchina.

Come vi siete appassionati alla musica e perché suonare uno strumento oggi?

Gabriele: Ognuno di noi prima o poi si è ritrovato con un iPod, un CD, una cassetta o anche un video su YouTube che ci ha fatto appassionare. Ad esempio, mio padre mi ha dato un CD dei Beatles quando ero piccolissimo, dicendomi di ascoltarlo. Così ho fatto e ho imparato tutte le canzoni, nonostante ancora non capissi molto.

Perché suonare? Sicuramente farsi conoscere non è il nostro obiettivo principale, secondo me suoniamo anche per fare un salto indietro nel tempo. Oggi molti ai concerti usano le basi preregistrate che è una tristezza, infatti apprezzo molto i cantanti che chiamano degli strumentisti per suonare durante i loro concerti. Inoltre cerchiamo di dare un senso a quello che abbiamo ascoltato durante l’infanzia e questo ci aiuta molto quando componiamo delle canzoni.

La cosa curiosa è che ognuno di noi suona uno strumento che non ha studiato! Io ad esempio ho studiato piano all’AMF e adesso canto. Andrea ha suonato il pianoforte per dieci anni e ora suona la chitarra e così anche per gli altri. Infatti nelle nostre prime prove insieme succedeva che ci alternavamo gli strumenti e alla fine un posto, tipo il basso, rimaneva vuoto e non capivamo perché.

Alessandro: Io già ero appassionato di musica, ma in particolare durante la prima quarantena ho iniziato a suonare il basso per coltivare questa passione che era ricomparsa. Sicuramente suonare uno strumento ed essere in grado di suonare ti porta ad apprezzarla ancora di più.

Vi piacerebbe suonare in mezzo alle persone, ad esempio come Buskers?

Gabriele: Assolutamente sì, perchè a parer mio può dare un grande senso di soddisfazione. Suonare per strada, attirare le persone che passano e si fermano a guardarti e ti danno un feedback, è molto bello.

Si sente un certo ottimismo nelle vostre canzoni. Ci sono dei temi ricorrenti?

Gabriele: Facendo musica tutto sommato adolescenziale, scriviamo testi che possano essere coerenti con un pubblico giovane ma anche che si adattino alla musica che viene fuori dalle nostre jam sessions.

Andrea: I testi vengono fuori da esperienze di vita quotidiana che abbiamo vissute e quindi le trasportiamo nei nostri brani.

Alessandro: Ci stiamo concentrando molto sui nostri testi perché ci siamo resi conto che vorremmo migliorarli. Infatti l’ultima volta ci siamo seduti a tavolino a fare il monopoli dei testi per trovare le frasi migliori.

Gabriele: Ognuno è specializzato in una parte del testo: abbiamo l’uomo-ritornello, l’uomo-strofa eccetera, per questo ciascuno dà un contributo alla musica che facciamo e alla fine diventa bella proprio per questo.

Questa collaborazione nella composizione è solo per i testi o anche per la composizione musicale?

Gabriele: Anche per il sonoro, ad esempio se uno di noi crea un bel riff di chitarra, noi cerchiamo di costruirci qualcosa intorno che funzioni. 

Alessandro: Se in sala prove ad esempio ci rimangono quaranta minuti dopo aver provato, buttiamo giù le idee per creare qualcosa di nuovo, sempre collaborando tra di noi.

Avete mai composto una canzone creata attorno a un testo, con un tema profondo?

Gabriele: Quando succederà sarà tipo un matrimonio, sarà una cosa epocale. La nostra caratteristica è che ognuno dà un senso diverso alla musica e il testo viene dopo.

Alessandro: Può succedere che scriviamo un testo serissimo e la canzone in realtà salta fuori super felice, quindi meglio fare prima la base anche perché, a parer mio, è più difficile scrivere il testo prima rispetto che fare l’accompagnamento e poi scriverci sopra.

Come avete ideato il singolo uscito prima dell’EP?

Gabriele: Un giorno abbiamo deciso di voler pubblicare una canzone e ci siamo imposti la sfida di farla entro la giornata. In tre ore siamo riusciti a finirla. E’ stato bello sentire i complimenti anche per un brano fatto in così poco tempo, ci ha dato la carica per pensare di fare qualcosa di più grande come l’EP.

Ascoltando Going too far, ci è venuto in mente di chiedervi, quali sono le vostre aspettative e priorità per il futuro?

Alessandro: Diventare famosi non è la nostra priorità ma non sarebbe neanche malissimo. Più che altro la cosa bella è stata registrare l’EP e riuscire a concludere il nostro progetto, è stato una soddisfazione.

Quindi Going too far si riferisce ad opinioni che la gente ha di voi?

Gabriele: in realtà sarebbe più riguardo alle opinioni che i nostri genitori hanno di noi, magari potrebbero pensare che abbiamo troppe ambizioni e che potremmo fare quelle cavolate ad esempio fumare o bere. Abbiamo quindi preso d’esempio la vita delle rockstar che notoriamente fanno queste cose fuori dagli schemi.

Qual è la soddisfazione più grande che potreste avere da qualcuno che ascolta la vostra musica?

Alessandro: Abbiamo la sensazione che alle persone piaccia quello che facciamo e che riconoscano che stiamo lavorando a qualcosa di bello. Nonostante siano canzoni normali con quattro accordi spesso ci dicono che danno sensazioni nuove che altri non trasmettono.

Gabriele: Per me il complimento migliore è il fatto che siamo considerati freschi. Nel senso che riprendiamo suoni del passato, ma per la nostra età e per il modo in cui suoniamo, abbiamo idee innovative e facciamo canzoni nuove da persone giovani. Sentiamo spesso altri gruppi che fanno musica che nemmeno persone della loro età ascolterebbero. Non puoi ottenere lo stesso effetto della musica del passato perché non c’è più lo stesso spirito di quando quel sound è nato. Quindi la cosa migliore è sentirsi dire: la roba che fai in questo momento andrebbe, anche se non è trap, pop o indie.

Ci potreste fare una piccola guida all’ascolto ai vostri pezzi?

Gabriele: Il primo pezzo ovvero Going too far è il pezzo un po’ più spaccone e quindi aveva senso metterlo per primo, si riesce a riconoscerlo subito.

Yellow Jeep invece, riguarda un’esperienza che abbiamo vissuto infatti girando per Ferrara. Ci trovavamo sempre davanti alla stessa Jeep gialla che addirittura stava per investire uno di noi e da quel momento l’abbiamo vista sempre dappertutto. Poi questo momento richiama l’estate scorsa quando ancora ci stavamo conoscendo e quindi ci ricorda un bel periodo.

I’m not è una canzone che vuole essere un punto di distacco totale, che chiude un capitolo precedente della nostra vita come può essere il conservatorio oppure una vecchia relazione. 

Nine and a half semplicemente parla di dormire tanto, letteralmente significa “nove ore e mezza”.

The unsaid è una canzone dove sono contenuti i lati negativi dell’essere innamorati o di avere una relazione, oltre a tutte le cose positive che possono esserci, spesso è anche la canzone che ci commuove di più quando suoniamo in pubblico.

Perché, secondo voi, qualcuno dovrebbe ascoltare questo EP?

Gabriele: Bisogna ascoltarlo per non dover sentire sempre le solite canzoni di oggi e per ascoltare qualcosa di ragionato. Lo abbiamo fatto cercando di riunire più influenze possibili in modo che possa piacere a molte persone.

Volete ispirare qualcuno con la vostra musica?

Gabriele: Anche se volessimo, a causa dell’arroganza e dell’egoismo delle persone e di quello che ascoltano adesso sembra davvero difficile.

Non è semplice ispirare le persone in questo periodo musicale, però sarebbe davvero molto bello.

Giovanni Ferrari, Anita Macchioni

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