Seguo i Liquid Shades attivamente da numerosi anni, e veder prendere vita il loro primo lavoro non nascondo che ha riempito di gioia pure me. Diversi anni fa suonavo in diversi progetti con tanti membri della band. Solite cose insomma, un gruppo di amici che in diverse combinazioni forma altrettanto diverse e numerose formazioni. E in qualche occasione ho avuto anche occasione di suonare con loro in sostituzione al loro (ex) bassista. Quindi conosco benissimo i musicisti e quei brani li ho sentiti nascere, crescere ed evolversi. A fronte di ciò trovarmi ad ascoltarli è stato anche un po’ strano e mi ha permesso di capirli e apprezzarli molto meglio, sentire come su disco siano riusciti a mettere tutto quello che dal vivo purtroppo è sempre, per forza di cose, un po’ sacrificato.
Il disco comincia con “Outro – A New Beginning”. E no, la prima traccia non si chiama “outro” perché da veri prog-snob non riescono a fare dritto neanche quello, ma perché sancisce la fine dei “vecchi” Liquid Shades con l’inizio del loro nuovo percorso musicale, iniziato ormai diversi anni fa, quando si sono lasciati alle spalle la vecchia formazione e l’hanno cambiata ed integrata con tanto di fiati. Un brano che senti già familiare, se al progressive sei affine. Un brano che strizza l’occhio al lato britannico del prog, con l’introduzione ricca di atmosfere decisamente floydiane, complici il sax di Lorenzo Checchinato e le magie armoniche della chitarra di Diego Insalaco, che si evolve subito con un tema che secondo me strizza più l’occhio al lato italiano del progressive, a dimostrazione della profonda cultura della band sul genere. Si apre poi con un parte molto carica e rigorosamente dispari, che però torna a guardare quello che Gabriel, Hackett e soci hanno fatto negli anni 70. Le sonorità moderne però sono la chiave che mantiene questo lavoro sempre comunque attuale. La fine del brano è collegata al secondo in lista, Reaching For Freedom, che non si spaventa nell’aprirsi con una distorsione molto satura su un riff dispari e martellante. Ma poi si apre una porta su una ballad da un’atmosfera cupa, ben sostenuta dal Rhodes di Emanuele Vassalli e dalla calda voce di Matteo Tosi, che si intreccia egregiamente con i cori di Marco Gemmetto, chitarrista, leader, autore e co-autore della totalità dei brani. I vocalizzi di Matilde Lotti sono la ciliegina sulla torta.
Wandering In The Unconscious pt.1 è uno di quei brani che invece guarda di più verso il progressive moderno, ma, come al solito, con solide radici nel progressive che ha fatto la storia. A partire da riff minori naturali ed armonici, che conferiscono quelle sonorità quasi arabeggianti, e che si evolvono in una parte molto più alla PFM, più italiana insomma, complice anche il flauto di Donato Di Lucchio.
La parte 2 non è da meno, accoppiando un Rhodes gentile ad un cantante potente, mescolando percussioni e parti più “quadrate”.
Fade To Horizon è una bellissima ballata dalle sonorità moderne che quando meno te lo aspetti si apre con riff decisi, mai banali, e che come tutti gli altri brani mette in luce l’incredibile “drumming” di Guglielmo Campi, sostenuto dal basso del cantante Matteo Tosi, che fa della sua semplicità il cavallo di battaglia.
To Glimpse The Oneiric Shades è una piccola chicca, a metà del disco. Scritta quasi totalmente da Lorenzo Checchinato, è a parer mio un condensato di tutto ciò che ti lasciano i dischi progressive degli anni 70 dopo averli ascoltati. Ci senti tutto, ci senti tutti. Dai Genesis al Banco. In continua evoluzione, dalla parte strumentale centrale dove i componenti si lasciano trasportare dall’improvvisazione, alla parte più solida e ben più attaccata alle radici prog.
A Dream Of Ilusion è una di quelle ballad scure dove chiunque non avrebbe mai abbastanza voce per cantarla. Forse il brano che più si allontana dal prog vero e proprio, ma che in realtà come altre cose di questo disco, non cade mai troppo lontano.
Pro Tempore è un brano strumentale partorito da Vassalli con tanto di arrangiamento per una sezione di fiati decisamente non convenzionali che fa da introduzione al vero capolavoro di questo disco e della band, Tempo di Andare. Scritta dal leader Gemmetto, racchiude tutto quello che può essere il progressive rock, di forte matrice italiana. BMS, Museo Rosenbach, Balletto Di Bronzo, PFM, Orme… senti un po’ tutte queste band dentro. Un po’ come a ribadire che in Italia, almeno per una volta e molto tempo fa, potevamo permetterci di insegnare ad altri come si suonasse un genere. Un genere che è sempre una continua scoperta, un miscuglio di rock, jazz, classica, sperimentazione, di tutto. Ed è bello ritrovare nella propria città una band che, nonostante le mille difficoltà, sia riuscita a portare avanti questo loro piccolo sogno, e lo hanno saputo fare riuscendo a far coesistere novità e tradizione, un po’ come se suonassero le “robe vecchie” con le “ robe nuove”.
È un disco impegnativo, che va ascoltato dall’inizio alla fine, importante, e che va capito ed ascoltato diverse volte prima di apprezzarlo davvero. Per arrivare alla fine dell’ultimo brano e sentire quell’intreccio di vocalizzi che fa venire la pelle d’oca, per spegnere lo stereo e sentire che ti ha lasciato qualcosa, per capire che se ti fa voglia di mettere su un disco degli Osanna o degli Yes allora vuol dire che quei ragazzi sono riusciti a fare un lavoro molto più grande di quello che si possa pensare.
Sostenete e seguite i Liquid Shades, comprate i loro dischi, andate ad i loro concerti. Certo, festival di tribute band in centro città hanno sicuramente più risonanza. Ma sono queste le cose che ti fanno sperare che la vera buona musica non sia ancora morta. Una decina scarsa di ragazzi che ancora oggi riesce a far rivivere il mito del rock progressive, quel genere poco conosciuto, ma che proprio noi italiani, una volta, facevamo meglio di chiunque altro.
Jacopo Aneghini