In occasione dell’uscita dell’omonimo album dei Limite Acque Sicure, abbiamo avuto il piacere di intervistarli e di intrattenere con loro una conversazione approfondita che, indirizzata dal racconto di questo primo lavoro discografico da parte dei componenti, è sfociata in un’espressione forte di amore rivelando probabilmente il modo più fertile per passare la vita assieme alla musica.
I Limite Acque Sicure sono:
Andrea Chendi – Voce
Ambra Bianchi – Voce, arpa, flauti e percussioni
Antonello Giovannelli – Pianoforte, sintetizzatori e organo
Francesco Gigante – Basso
Paolo Bolognesi – Batteria
Luca Trabanelli – Chitarre Elettriche, acustiche e gustar sinth
Questo album è in lavorazione dal 2019. Quant’è la soddisfazione di averlo finalmente pubblicato?
Paolo: Abbiamo iniziato a parlarne nel 2019, poi tra il dire e il fare… è successa una guerra mondiale e una pandemia!
Ambra: La soddisfazione sicuramente è tanta, però sì è stata proprio una catarsi terapeutica. Lavorarci sopra ci ha aiutato a superare i lockdown. Pensavamo di trovarci in studio e affrontarlo come progetto “corale”, conviviale, invece alla fine molte registrazioni ognuno le ha fatte a casa sua. Luca è stata la nostra colonna portante per quanto riguarda i missaggi, l’editing e tutto quanto. È stato un modo di lavorare diverso dal solito.
Antonello: L’effetto d’insieme è venuto fuori solo alla fine, la registrazione è stata come un mosaico, un tassello alla volta. Secondo me alla fine è venuto fuori qualcosa di più grande di quanto ci immaginavamo.
Andrea: Per me la vera soddisfazione è stata quando ha cominciato a prendere forma, negli ultimi momenti prima del master finale ci siamo resi conto che era una cosa di un buon livello per noi. Abbiamo pensato: potrà non piacere il genere, ma non si può dire che sia cattiva musica, che sia banale. Inoltre, c’è anche la soddisfazione di passare dal suonare musica di altri a comporre la nostra.
Ambra: Siamo tutti figure musicali dal carattere forte, ben definito, forse facendo tutto assieme in studio non saremmo riusciti ad arrivare ad un punto di incontro. Ed è un po’ il potpourri che è venuto fuori, anche nelle recensioni.
Tutte le canzoni sono state registrate in “studio” tranne una: Il giardino del mago. Come mai proprio questa?
Antonello: Anzitutto c’è un motivo ben preciso per cui c’è quel brano nel CD. Abbiamo deciso di includerlo per rendere omaggio al Banco del Mutuo Soccorso, di cui suoniamo le canzoni da quindici anni ormai. Ci sentivamo di voler far sentire come suoniamo un pezzo del Banco, quello in particolare perché è piuttosto difficile, soprattutto dal punto di vista interpretativo. Inoltre, il significato metaforico de Il giardino del mago è quello di un viaggio nella incomunicabilità tra gli uomini, nella solitudine, un viaggio di chi si rinchiude in un mondo immaginario e non riesce ad uscirvi. Quindi, con questo tema, si adatta bene all’arco narrativo del disco.
Nel progressive rock l’obiettivo principale è raccontare una storia, ma voi avete dato moltissima attenzione anche alla strumentale. Qual è il rapporto tra testo e musica nel vostro disco?
Ambra: Per quanto mi riguarda, le parti cantate e strumentali hanno lo stesso peso, che è un po’ la particolarità del genere e ci è riuscito bene nel disco. La paura più grande è cadere nella “canzonetta”, ma secondo me nel nostro caso è stato possibile far lavorare insieme musica e parole così che si aiutassero a vicenda.
Andrea: Alcuni brani sono nati da una parte cantata, altri da una melodia: non c’è stato mai uno schema preciso. Ogni idea aveva lo stesso potenziale di essere sviluppata.
Ho sempre avuto questo stereotipo del progressive in cui ogni frase o accordo è calcolato per avere qualche significato: sentendo voi sembra che invece in questo genere ci sia più cuore che testa.
Ambra: Assolutamente. In Terra Straniera c’è questo punto in cui Luca mi ha detto: qui dovresti entrare tu col flauto come una valchiria! Così io mi sono scritta sulla parte: flute valchiria. A volte qualcuno ti dà uno spunto o un’immagine che non ti sarebbe mai venuta in mente, e invece poi ha funzionato sfociando poi nel suo assolo.
Antonello: Se proprio volessimo cercare qualcosa di costruito a tavolino c’è Antico mare. Luca mi ha detto di provare a fare un accordo che per lui era fattibile sulla chitarra, ma non per me alla tastiera. Così ho pensato di svilupparlo in modo arpeggiato e da lì è nata quella introduzione.
Luca: Secondo me i gruppi di punta oggi fanno sostanzialmente degli esercizi, vedi i Dream Theater. Magari sono orientati più su un suono metal che il prog non ha mai avuto. Penso che con questa freddezza muoia il significato di fare un disco con un messaggio.
Ambra: Ci sono due aspetti, che sono quello emozionale e quello performativo: solitamente quando punti sulla performance si divertono molto quelli che suonano e meno quelli che ascoltano, quando invece parte quella punta di emozione… una cosa che stiamo riscontrando, che ci dicono in tanti è che i nostri sessantasei minuti di musica passano in fretta, si ascolta per intero: quasi miracoloso! Siamo felici che l’interplay emotivo che c’è stato tra noi sia passato.
Se le canzoni parlano di un viaggio, ci sarà un inizio e una fine: come avete scelto l’ordine dei brani?
Antonello: Beh, il primo è quello che useremmo anche come apertura di un concerto.
Ambra: Questo, e poi anche perché è quello che secondo me ti dà più il gusto di un viaggio: ti dà la sensazione di essere altrove.
Antonello: Anche l’ultimo dà quella sensazione, secondo me, di chiusura di un viaggio ma anche di proiezione verso altri posti, che ancora non si sanno.
Luca: Secondo me non aveva senso chiudere con il pezzo di qualcun altro. Quindi, era giusto comunicare che questi siamo noi.
Ambra: Probabilmente non ci abbiamo proprio pensato ad un ordine, a un certo punto bisogna lasciarsi prendere dall’istinto e riascoltandolo dopo penso che ogni brano sia al posto giusto.
A proposito, qual è il brano che vi emoziona di più? E quale sarebbe la soddisfazione più grande che potrebbe darvi il pubblico?
Ambra: A me il pezzo che emoziona di più è Fiamme intorno. Anche Sogno d’oriente, sono i due in cui proprio piango. Nel primo però quando c’è l’assolo ancora mi commuovo, non mi passa. Sento qualcosa di bello. Inoltre la cosa che mi piacerebbe che venisse fuori è che le persone sentissero un gruppo di persone “normali”, fuori dai canoni di spettacolo, che tirano fuori questa musica, che è un po’ la magia che trovo affascinante di questo gruppo.
Antonello: In ogni pezzo ci sono delle parti che mi piacciono molto, non riesco a scegliere. Tra tutti, forse quelli che hanno le soluzioni più efficaci sono Il respiro dell’anima, con quella pausa prima del finale che abbiamo messo perché non sapevamo come concluderla e poi invece si è dimostrata perfetta per quello che viene dopo, e Straniero.
Andrea: Quello che trovo più intenso è Sogno d’oriente. Ha delle sonorità che mi ricordano tante cose. Anche Antico mare, un pezzo che era nato così per caso e invece è uno di quelli che ascolto più volentieri.
Ambra: Che è anche il più difficile!
Paolo: Forse, proprio perché è dedicata alla mamma che io ho perso a nove anni, direi che Il respiro dell’anima mi tocca una corda importante. Poi sono d’accordo con Ambra su Antico mare, che è una sfida importante. Ogni volta che ci troviamo a suonare questi brani per me è una festa, infatti non vedo l’ora di fare concerti. Una grande soddisfazione sarebbe sapere che il disco viene ascoltato con piacere, che sia trovato interessante.
Antonello: Per quanto riguarda gli ascoltatori, penso che la soddisfazione più grande sarebbe che cogliessero l’originalità dei brani, che ci dicano che non assomigliamo a nessuno, anche se magari non piace. Inizialmente avevo il terrore delle recensioni che sarebbero potute arrivare su questo disco, perché in quanto appassionato ma non professionista non avevo nessun metro di misura per capire se quello che avevamo fatto fosse buono o una sciocchezza.
Ambra: Una cosa che ho capito però è che ci vuole anche leggerezza, nel senso, ci sono ben altre cose di cui vergognarsi! Non è che se faccio partire il mio l’album qualcuno nel mondo muore. A me è piaciuto molto farlo ed è questo che conta per me.
La musica ha cambiato valore nel vostro percorso musicale? Ha avuto un’evoluzione?
Andrea: Chiaramente quello che ti tiene attaccato all’inizio è la passione, il piacere di fare musica. Per ogni decennio che suonerai però ti sentirai diverso e guarderai in modo diverso quello che suonavi o ascoltavi prima. Se non diventa un lavoro è necessaria una grande motivazione perché negli anni dividere il tuo tempo diventa sempre più difficile. Questa almeno è stata la mia esperienza fino ad ora.
Luca: È anche un discorso di maturità, diciamo. Se penso alle cose che mi piacevano quando avevo vent’anni, alcune sono rimaste altre penso: mamma mia, che schifo. Ma penso che sia normale per tutti. Ci sono dei mattoni che mi hanno costruito anche la crescita, ad esempio i Led Zeppelin. Però mi rendo conto che c’erano molti altri gruppi e artisti che hanno contribuito. L’evoluzione è comunque sempre positiva perché vuol dire che sei curioso di ampliare gli orizzonti.
Antonello: Io probabilmente tra tutti ho avuto il percorso meno musicale, perché da giovane ero talmente appassionato che quando ho dovuto scegliere tra musica e un altro tipo di lavoro ho scelto il secondo, se no mi sarei rovinato! Quindi, ho proprio smesso col pianoforte, ho scelto l’università. Poi vent’anni fa ci ho ripensato, perché comunque questo interesse è sempre rimasto, avendo avuto anche un’esperienza radiofonica, però non avevo mai suonato in gruppo, la prima volta è stata nel 2005. In qualche modo ho sempre saputo che sarei arrivato qui, perché ho sempre avuto questa tendenza a dividere la vita tra musicista e ingegnere elettronico. Mettere la firma su un lavoro così ben fatto dà soddisfazione anche a quella vita parallela.
Luca: Io ho avuto la fortuna-sfortuna di vivere da professionista la musica. Il mio primo disco è uscito nell’83, quando lo ascolto mi rendo conto che non sono più quella persona. Alcuni lo fanno per diventare ricchi, io nel tempo ho dato priorità all’arte quindi c’è sempre stata un’evoluzione.
Ambra: Io non ricordo la mia vita senza musica, nel senso che ho iniziato a suonare a sei anni e ho ancora lo stesso approccio di allora, il che potrebbe risultare preoccupante per alcuni, in realtà è perché fa parte di me e non mi ci posso separare. Ci sono momenti in cui riascolto quello che mi piaceva negli anni ‘80 e chiaramente non mi emoziona più come allora, però lo vivo come un ricordo. Quello che sei musicalmente è il risultato di quello che filtri e che metti in gioco. Non riesco a tracciare una linea tra prima e dopo.
Paolo: C’è una frase che ha detto una volta Billy Cobham in risposta alla domanda “cos’è per te la musica”: la musica è una dichiarazione forte e chiara al mondo nei confronti del mondo, é il tuo cuore in prima linea. Mi ha colpito perché mi descriveva esattamente. Inizialmente avevo l’obiettivo di farlo di mestiere, non ci sono riuscito, ma continuo a vivere la musica così. Quello che mi muove la mattina non solo nell’ambito della musica è ciò che io amo. Io amo la musica per cui questo mi permette di fare sacrifici e tenere duro anche davanti alle difficoltà.
Una curiosità: quanto tempo ci avete impiegato?
Paolo: La prima registrazione che abbiamo fatto è stato a fine marzo del 2021.
Andrea: Chiaramente è stato un lavoro frazionato perché nel frattempo ci sono stati due mesi di blocco totale.
Antonello: La cosa bella è stata il rapporto molto aperto con lo studio, che ci ha permesso di riascoltare cose già registrate in passato ed eventualmente rifarle se avessimo cambiato idea. Non so quante volte gli ho chiesto di ri-registrare le parti di pianoforte. Grazie a questo il lavoro finito è molto maturo secondo me. Se dovessimo dividere le ore in studio in giornate lavorative, sarebbero direi 4-5 settimane continuative.
Luca: Comunque il tempo passato in studio non vuol dire niente, secondo me. Ci abbiamo messo il tempo necessario per un prodotto di cui fossimo soddisfatti.
Giovanni Ferrari, Vittorio Formignani