È da diverso tempo che penso e ripenso a Au bord de l’eau. A lungo mi sono interrogato sull’arduo compito di esprimere con parole semplici il contenuto del disco, a tracciarne un profilo chiaro ed efficace, che ne rispetti gli intenti e le atmosfere: è presto detto.
Au bord de l’eau è il secondo lavoro dei Quai des Brumes, pubblicato il 4 giugno 2020; venti brani che vedono la luce grazie all’inedito sodalizio tra il trio – composto da Federico Benedetti al clarinetto, Tolga During alla chitarra e Roberto Bartoli al contrabbasso – e gli AMF String Quartet; i brani, attinti dallo sterminato repertorio della Mélodie francais, si pongono come obiettivo quello di intrecciare il rigore e le sonorità classiche francesi con la spontaneità improvvisativa del jazz americano.
Fin dal debutto i Quai des Brumes hanno esplorato il vasto panorama musicale francese, pubblicando nel 2017 il loro esordio discografico Chansons boiteuses, in omaggio all’atmosfera multiculturale della Parigi dell’anteguerra e agli anni del Front Populaire (1936-38).
Per questo secondo lavoro il trio entra in sintonia con un’epoca più lontana, la celebre Belle époque, periodo di irripetibile fioritura artistica, di intenso sforzo creativo e di forte collaborazione tra le diverse arti; la reciproca influenza – complice la voglia di godere pienamente del momento, seppur precario, di pace della Francia – abbraccia il desiderio di immergersi nella natura incontaminata; lo fanno gli impressionisti con le loro eleganti opere “en plein air”, lo sostengono gli intellettuali con le loro sognanti suggestioni poetiche, lo evocano i compositori attraverso le loro opere; è l’epoca di Debussy, Ravel e Fauré, degli ultimi echi del romanticismo.
Così fu per la Belle époque, così è oggi per Au bord de l’eau. Una intensa collaborazione tra le dolci armonie degli archi, fedeli alle colte composizioni dei maestri francesi, e i ritmi folklorici del trio; la soave voce del clarinetto, le incursioni Manouche della chitarra e l’impeto swing del contrabbasso sono in perfetta armonia con le atmosfere classicheggianti degli archi. Il risultato è un piccolo gioiello evocativo che ci proietta in una dimensione idilliaca e spensierata, lontana dai ritmi frenetici della vita urbana, all’aria aperta, in riva all’acqua.
Au bord de l’eau è un’esperienza impareggiabile, una rara raccolta di sentimenti musicati, un momento di quiete nel quale trovare rifugio. E allora vale la pena un ascolto intimo e rispettoso, lasciar scorrere un brano dopo l’altro ed immergersi nel clima sognante dell’album.
Aprono l’album Ma premiére lettre, Dans les ruines d’une abbaye e Viens, mon bien aimé; eleganti e spensierate, le melodie affidate al clarinetto accolgono l’ascoltatore in un mondo sospeso, fiabesco; il lento ondeggiare degli archi e del contrabbasso è un dolce risveglio dei sensi.
Se Tristesse, la quarta traccia del disco, introduce ad atmosfere più malinconiche, nel pieno spirito romantico, Lydia riporta subito alla serenità; la successione dei brani gioca un ruolo fondamentale, suggestioni più affettuose si alternano regolarmente a climi più cupi mantenendo un morbido equilibrio; non mancano episodi più ritmati e danzerecci (Chanson d’automne e Serenade toscane) a completare la varietà di emozioni. Espoir chiude l’album riprendendo la spensieratezza iniziale, un aggraziato congedo che suona come un arrivederci. Perchè Au bord de l’eau è un’esperienza da ripetere, ascolto dopo ascolto, senza mai cadere nella banalità; un rifugio al quale non si vuole rinunciare, un esercizio per ritrovare la pace perduta.
Raffaele Lazzari
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