Foto di Paolo Bertazza
L’ 8 Marzo sarebbe stata la data in cui Roberto Formignani avrebbe presentato il suo debutto discografico da solista, evento che è stato rimandato a causa del lockdown dovuto al Coronavirus a data da destinarsi.
Il 26 Maggio verrà però pubblicato su tutte le piattaforme di streaming digitali. Dopo aver ascoltato in anteprima il disco, abbiamo incontrato Roberto Formignani per farci raccontare le storie, le scelte e le paure che sono dietro alla composizione dell’album.
Partiamo dalla copertina che raffigura un petalo di rosa rossa adagiato sulla sabbia, che significato ha?
Questa immagine è molto bella, una foto che ho fatta con il telefono, ha un bel colore, una definizione pazzesca. C’è questo contrasto tra l’arido e la vitalità.
In questo disco vengono raccontate le storie di tanti uomini che hanno segnato e influenzato il tuo percorso, il primo che incontriamo è Muddy Waters.
Era una cosa dovuta.
È stato il mio primo punto di riferimento ed è uno dei più rappresentativi a livello storico.
È un personaggio ricorrente nella mia storia blues, mi ha sempre affascinato per le sue vicende e l’origine del suo nome che sembra quasi una favola.
Dal suo repertorio ho attinto il nome per la mia prima band di cui ho bellissimi ricordi.
È un brano dove mi sono cimentato anche nell’uso dell’armonica con cui ho voluto dare un imprinting blues e roots con un suono primitivo, con un approccio non da virtuoso.
In Now We Are Them invece il protagonista sei tu e racchiude un pensiero nato dalla tua esperienza
In questa canzone ho voluto raccontare la conflittualità che avviene tra generazioni e che, in modo arrendevole, va a dare ragione a quello che i nostri padri ci dicevano e che noi contestavamo.
Musicalmente è basato su un riff di chitarra ricorrente con il giro di accordi che riporta sempre allo stesso punto a rappresentare simbolicamente il ciclo della vita.
Secondo me ci sono frasi con un senso molto forte come:
“Quando noi eravamo impavidi e la vita era un gioco i giorni facili sono andati anche se facili non erano ma le nostre menti erano libere e quello che dicevano i nostri padri ora è più reale che mai”
Perché ora che abbiamo preso il loro posto abbiamo le stesse responsabilità e dunque il ciclo della vita si chiude.
Non è stato facile sviluppare il brano ed arrivare al ritornello dopo 4/5 minuti dall’inizio e mantenere una tensione così alta.
La canzone è stata costruita e modulata su degli interventi della chitarra solista, che ho registrato e improvvisato in totale libertà e che non sono quindi delle frasi di risposta alla canzone inseriti successivamente.
In Play For The Revolution si racconta il modo in cui veniva vissuta la musica quando eri ragazzo. Tu che oggi sei anche un insegnante di chitarra e ti interfacci quotidianamente con i ragazzi più giovani come vedi vivere la musica oggi?
Il testo di questa canzone si rifà ai tempi di quando la musica era presa come punto di riferimento di protesta, di rivolta e di rivoluzione culturale, una bandiera di stile di vita, cosa che non è più.
C’è un termine nel testo che non esiste in inglese “contestation” ma ho voluto prendere una licenza poetica perché è inserita bene a livello metrico e le parole a volte nascono così.
Come fotografia è molto west coast anni 70, un periodo in cui la musica protestava sul fatto che gli studenti venivano picchiati per la rivoluzione studentesca e i loro ideali.
Io ricordo quei momenti di quando la gente scendeva nelle strade con le bandiere e le asce che in gergo sono le chitarre prese come simbolo di cambiamento culturale, rivoluzione filosofica e lotta per la libertà culturale. Quando parlo con i ragazzi di oggi non riesco a credere in loro perché non hanno dei punti di riferimento.
Si può tornare a suonare per la rivoluzione adesso?
Se si torna a non avere più paura del virus e si ritorna all’aggregazione per me sì. Anzi ci sarà una voglia di stare insieme, e se prima si vivevano queste situazioni in modo stanco e ovvio, ora ci sarà una rivalutazione di questi contesti sociali.
Painting The Note è il primo brano strumentale del disco, una curiosità: come si decide il nome di un pezzo strumentale?
Questa brano poteva essere l’ultima ruota del carro di tutto l’album e rischiava di essere escluso.
In genere come sono solito fare, il titolo lo da il riff primario. In questo caso il nome deriva dalla sfumatura delle note nell’assolo che mi sembrano pennellate. Ed è stato proprio l’assolo a farmi rivalutare il pezzo in maniera esponenziale, tanto che persino la batteria suonata da Roberto Morsiani è modulata sui fraseggi solisti in modo totalmente naturale e preciso grazie al feeling maturato in anni di collaborazione. Infine ho registrando il tema con la chitarra Dobro per non rischiare di essere monotono.
Free Man, così come Now We Are Them, si basa su una melodia semplice suonata con chitarra classica che porta una sonorità caratteristica al disco
Ho registrato in diretta con la chitarra classica quello che doveva essere solo un punto di riferimento per poi inciderla chitarra con il microfono davanti. Però quando ho risentito il brano funzionava talmente bene con quel suono un po’ strano e caratteristico che ho deciso di tenere la registrazione per mantenere il feeling del brano impreziosito dagli interventi vocali di Ambra Bianchi e dall’elegante apporto di Massimo Mantovani.
La libertà delle scelte soliste ti hanno portato a inserire strumenti inusuali come avviene in The Cowboy’s Dream
In un brano del genere la scelta scontata sarebbe stata quella di mettere una tromba e ho voluto evitare la situazione scontata attraverso l’utilizzo del flauto basso suonato da Ambra Bianchi. Un colore caratteristico è dato dall’intreccio nel finale tra chitarra classica e flauto che sfocia in un momento molto apprezzabile.
Gli Hippy sono stati criticati dalle generazioni successive invece nel tuo brano è presente un ricordo romantico
Per me è uno dei pezzi più belli di tutto l’album.
Leggendo il testo uno potrebbe, per avere un punto di riferimento comune, avvalersi di Neil Young. Tuttavia io nel 1977/78 suonavo insieme ad un ragazzo di bell’ aspetto con capelli lunghi, che scriveva le sue canzoni e che in quel periodo era la norma trovare in qualsiasi quartiere.
Quindi ti puoi immedesimare sia con un personaggio famoso che un ragazzo alternativo qualunque degli anni 70.
Sono innamorato di questo pezzo perché racconta la nostalgia di quel tempo contenendo tutto il carisma e il modo di chi suonava in quel periodo. Strumentalmente, anche se è basato su 4 accordi, è stato molto pensato.
Per dare una sensazione così rilassata a livello ritmico la chitarra è stata registrata 6 volte, nel senso che ci sono 6 parti sovraincise che nel loro insieme potrebbero sostenere il pezzo anche senza batteria.
C’è una continuità invece in Black Rabbit con le sonorità dei dischi precedenti
È un brano dove mi sono divertito con uno strumentale tipico country a suonare mettendoci tutta la passione che ho per la chitarra.
L’unica cover dell’album è Ramblin On My Mind, perché l’hai scelta?
Approcciarsi a una cover blues è sempre molto difficile.
Ramblin’ on my mind ha un bel testo e uno sviluppo musicale molto bello.
Per non cadere nel solito cliché e nel virtuosismo con la chitarra distorta io l’ho voluta fare quasi sottovoce e il più tranquillo possibile.
È un brano che facciamo sempre dal vivo trattandolo in modo totalmente diverso, in studio ho voluto però trattarlo in modo più intimistico.
La scelta del nome di White Rose altro brano strumentale è stata invece piuttosto immediata e avevi già in mente l’immagine che poi ha caratterizzato il brano
Il brano è naturalmente dedicato a mia nipote Bianca e mi è piaciuto perché rispecchia la fragilità e la delicatezza di una bambina piccola. Elemento che si rispecchia anche nel coraggio da chitarrista ad esporsi in un brano così pulito con un assolo che sembra quasi insignificante ma che comunque ha una costruzione logica piuttosto importante strutturato su tutti gli accordi.
Si torna nel crocicchio con il blues sporco Dirty and Rude che ripropone le sonorità che ti hanno caratterizzato fino a questo momento
Dirty and Rude è un blues classico dove le chitarre hanno intenzionalmente un suono non molto curato.
Nell’assolo ho utilizzato la mia Godin come riconoscimento a questo strumento che ha caratterizzato il mio suono per 30 anni nonostante il suono piezoelettrico in diretta non è paragonabile al suono di chitarra acustica ripreso con un microfono.
A conclusione di questo bellissimo viaggio nei tuoi brani e nella tua storia c’è Blue Sunrise
È tutta la vita che ho in mente quella frase con la chitarra slide. È un brano che vive di un blues spiritual e secondo me l’assolo di chitarra elettrica è un punto molto alto ed è strutturato in maniera eccezionale. È un bellissimo arrivederci.
Come e con chi hai vissuto questa nuova avventura?
È un disco che non può invecchiare.
Quando mi sono approcciato e ho deciso di fare questo disco avevo una responsabilità sulle mie spalle con lo storico dei CD precedenti e mi chiedevo se sarei riuscito senza la collaborazione dei miei soliti compagni di band, sia nelle stesure che negli arrangiamenti, a proporre qualcosa agli stessi livelli o superiore.
Mi sono voluto mettere in gioco.
Provvidenziali gli inserti ritmici di Roberto Morsiani che con il suo modo di suonare sa dialogare in maniera perfetta con gli altri strumenti, così come è stato fondamentale l’apporto di Alessandro Lapia che in un pomeriggio mi ha fatto dei bassi meravigliosi, con un sound assolutamente non scontato derivato da una ricerca del suono approfondito.
Altrettanto importante è stato Marco Malavasi che in tre gironi di registrazioni e un pomeriggio di mix nel suo studio Sonic Design è riuscito a completare il lavoro in maniera impeccabile.
Il CD è stato prodotto per la parte artistica da me, mentre per la parte esecutiva dall’Associazione Musicisti di Ferrara aps, che produce musica indipendente da diversi anni ed ha in catalogo 21 produzioni, di cui questo è il numero AMF 020
Questa videochiamata, oltre ad un’occasione per raccontare il nuovo disco, è stata anche un’opportunità per ritrovarci e poter imparare ancora dal nostro maestro la passione e il rispetto per la musica, la cura dei suoni e la voglia di continuare a crescere artisticamente tramite quell’ingentilimento dell’animo verso cui ci ha spinto fin da adolescenti.
Concludiamo invitandovi ad un ascolto attento, come merita un disco come questo.
Raffaele Cirillo, Vittorio Formignani