Uscito da poco l’ultimo singolo, “Tears Will Set You Free”, abbiamo colto l’occasione per intervistare Alice Pisano, cantautrice originaria di Ferrara ora residente a Londra, che con il suo Ep di debutto, Celebrate Life, ha raggiunto risultati importanti di pubblico e di critica, con il singolo omonimo che ha raggiunto quasi 3.000.000 di streams su Spotify.
Approfittando della quarantena e del suo ritorno in Italia, abbiamo voluto sapere di più della sua esperienza oltremanica e dei pro e dei contro dell’essere totalmente indipendenti in terra straniera.
Raccontaci il tuo percorso personale e le tappe più importanti.
I miei hanno sempre ascoltato molta musica in casa e quindi ho sempre dimostrato una propensione.
All’età di 7 anni ho iniziato a prendere lezioni di piano e l’ho fatto per 7/8 anni.
Poi sono passata alla musica pop perché volevo avvicinarmi alla musica che stavo ascoltando in quel periodo, motivo per cui ho iniziato a prendere lezioni di canto e poi di chitarra.
In seguito, al liceo, ho cantato in diverse band che facevano soprattutto cover di diversi generi, dal blues al rock.
All’età di 18 anni un mio amico mi ha chiesto di partecipare ad un progetto di originali.
All’inizio ero molto scettica perché non mi ritenevo in grado, poi sono stata contenta di essermi lanciata perché mi sono riscoperta portata per il songwriting, cosa che non avrei mai pensato.
Quindi l’esperienza con i Down the Rabbit Hole è durata un paio d’anni durante il quale abbiamo scritto diversi brani originali, partecipato a diversi concorsi a Ferrara ed in giro per l’Italia finché non ci siamo sciolti per vari motivi.
In quel momento, ho deciso di trasferirmi a Londra, perché sentivo il bisogno di un nuovo inizio.
Già da qualche anno sapevo che mi sarebbe piaciuto andarci, ma avendo la band ho rimandato perché mi sarebbe dispiaciuto non dare una possibilità visto che stavamo andando bene.
Alla fine ho deciso di partire, e sono ormai 4 anni.
Hai scelto Londra per la sua storia musicale o proprio per amore per la città?
Ho sempre ascoltato band inglesi come gli Arctic Monkeys.
Poi c’ero stata con i miei genitori e mi sono innamorata.
Inoltre, sapevo che c’erano tante scuole di musica con corsi di songwriting.
Inizialmente, volevo solo fare un corso di canto poi quando ho scoperto il corso di songwritng ho pensato a questo punto che avrei potuto farlo.
Avendo sempre cantato e scritto in inglese ho voluto imparare bene la lingua ed immergermi nella cultura inglese.
Fatto questo corso di composizione, ho incominciato a suonare quasi subito dal vivo a Londra.
Celebrate Life è stato il tuo primo Ep, pubblicato nel 2019, raccontaci la sua storia ed i temi delle canzoni.
Celebrate Life è un pezzo che ho scritto in un momento abbastanza buio in cui mi sentivo particolarmente scoraggiata perché quella del musicista è una realtà difficile e il dover andare avanti da sola senza avere un team rendeva le cose ancora più difficili.
Avevo problemi di autostima e mi sentivo inadeguata in diversi modi.
La frase celebrate life mi è venuta in mente perché il mio modo di superare questo tipo di problemi è sempre stato quello di guardare alle cose positive che ci sono sempre se le si vuole vedere.
Mi sono concentrata su di quelle smettendo di aspirare alla perfezione anche perché nessuno è perfetto e nessuno lo sarà mai.
Nasce, quindi, dall’esigenza di avere anche meno aspettative e di essere anche più generosi con se stessi.
Questo è il tema anche di All the Little Things.
Spesso ci si sofferma troppo sul raggiungere grandi obbiettivi senza apprezzare le piccole cose che possono rendere grandi le persone.
Gli altri due brani sono su amori tormentati, argomento abbastanza semplice.
Ci vogliono anche quelle, aiutano la creatività.
Il tuo percorso fino a questo momento è stato totalmente indipendente, percorso complicato ma che nel tuo caso ha portato a ottimi risultati.
Quando ho iniziato, avevo dei brani che avevo registrato già da un po’ di tempo di generi diversi.
Stavo ancora cercando la mia identità come artista e in questo mi ha aiutato Ian Barter, il produttore con cui ho registrato l’EP.
Con Ian ho lavorato molto bene, è un bravissimo musicista (è stato il chitarrista di Amy Winehouse) e una persona molto carina e paziente. Abbiamo registrato diversi pezzi e tra quelli abbiamo scelto quelli da fare uscire.
Dopodiché ho scelto una piattaforma di distribuzione, ce ne sono tante e di tanti livelli, la mia si chiama Awal e ha anche grossi artisti, avere l’etichetta oggi non é indispensabile. A meno che tu non sia sotto una major che decide di spingerti con grandi investimenti.
Certo far tutto da sola é stato pesante, però quando le cose funzionano e ti suonano i pezzi sulla BBC, o te li aggiungono alle playlist ufficiali Spotify…é veramente una festa! Ho anche imparato molte cose sulla music industry che mi sono senz’altro utili, ad esempio all’inizio ho usato una PR agency e adesso anche la copertura stampa la faccio da sola.
La svolta c’è stata dopo l’uscita dell’ultimo brano: finalmente ho una manager! Non avrei mai pensato di trovarmela stando in quarantena a Ferrara, visto che lei é di Londra e ci siamo parlate solo su FaceTime, ma abbiamo sentito tutte e due che c’era il giusto feeling e quindi due settimane fa abbiamo firmato il contratto e cominciato subito a lavorare.
Hai la percezione di essere così tanto ascoltata?
Considerando che i miei brani li ho fatti uscire senza nessun tipo di appoggio, non mi aspettavo un’accoglienza del genere.
Quando ho fatto uscire il mio Ep e il mio singolo non avevo un’etichetta, né un management, né un distributore e li ho pubblicati in modo indipendente.
Sono molto contenta dell’accoglienza poichè sia l’ultimo singolo, Tears Will Set You Free che Celebrate Life sono state inserite in playlist ufficiali che hanno contribuito all’aumento degli ascolti.
E’ stato sorprendente perché è molto difficile per un artista emergente arrivare alle playlist ufficiali da solo.
Ti manca avere una band?
Il diventare solista è stato un sollievo perché con la band l’atmosfera era pesante con dinamiche negative.
Avere il controllo su tutto quello che faccio è qualcosa di positivo.
Adesso ultimamente suono con un chitarrista e avere qualcuno sul palco aiuta.
Dopo un po’ ha cominciato a mancarmi l’avere una band, lo sdrammatizzare e alleggerire la tensione con gli altri.
Io tendo ad agitarmi parecchio prima di salire sul palco e da sola andavo ancora più nel panico.
Ritieni il pubblico inglese più attento di quello italiano?
Capita anche in Inghilterra di suonare nel pub o nel bar dove ci sono 3 persone che ti ascoltano e il resto fanno i loro interessi.
Però là c’è molto la cultura del live quindi è pieno di locali dove la gente va ad ascoltare la musica e non fiata.
Hai suonato solamente a Londra?
Ho suonato principalmente a Londra, una volta a Madrid, una a Portsmouth e ad un paio di festival, uno si chiamava Car fest, nel nord dell’Inghilterra.
E’ stato un concerto abbastanza allucinante ma a suo modo divertente.
Pioveva tantissimo, c’era fango ovunque e io e il mio chitarrista abbiamo portato gli strumenti letteralmente nel fango. C’era un po’ di fan base almeno.
Qual’ è la cosa che ti farebbe più piacere accadesse durante un concerto?
La cosa che è successa diverse volte, soprattutto con Celebrate Life, è stato dopo i concerti sentire le persone del pubblico dire: “Quel pezzo mi ha commosso”.
Per me è la cosa più bella che mi possano dire dopo in concerto.
Sentire le persone rispecchiarsi nei miei testi mi ha portato anche a parlare di più dei brani, del background e di come mi sentivo quando li ho scritti, anche se la mia tentazione sarebbe stata quella di suonare un pezzo dopo l’altro senza dire niente e finirla lì.
Poi, ovviamente, essendoci una storia dietro i brani cerco di creare un rapporto anche più personale con il pubblico.
Come è nata la collaborazione per il tuo ultimo singolo “Tears will set you free” con Benjamin Francis Leftwich e Matt Ingram?
Il pezzo è nato proprio come un co-write con Benjamin Francis Leftwitch e un altro batterista, Matt Ingram, producer e songwriter.
L’idea è nata da Benjamin che, dopo aver ascoltato il mio brano “Lost you in the crowd” sulla playlist Spotify New Music Friday UK, mi ha proposto di fare una sessione di scrittura con quest’altro produttore con cui stava lavorando in quel periodo.
Sono andata in uno studio a East London, dove abbiamo scritto un brano partendo da una mia idea ossia quello che ora è il ritornello ma era nata come strofa.
Trovo sempre un po’ strano trovarsi con persone che non conosci e dover scrivere un pezzo dal niente e finirlo entro la giornata.
Ero un po’ nervosa e un po’ timida. Alla fine sono partita da una mia melodia, proseguendo nella scrittura è venuta fuori con loro in studio la tematica di una persona che sta attraversando un momento difficile e che si sta cercando di rassicurare esortandola a non tenersi tutto dentro.
Lo abbiamo scritto e finito in un giorno, però poi è rimasto accantonato per un po’ di tempo non essendo riuscita a registrarlo modo soddisfacente provando con produttori diversi.
Poi finalmente ho trovato Troy Miller con il quale mi sono trovata subito bene e fin da subito ha capito il mood del brano dandogli il sound che avevo in mente.
Una curiosità: ci parli del tuo primo concerto a Londra ?
E’ stato al Troubadour, un locale storico a Earl’s Court dove ha suonato anche Bob Dylan.
E’ successo un po’ per caso.
E’ stato il giorno dopo che mi sono trasferita e stavo cercando un posto dove suonare o andare a sentire un concerto imbattendomi in questo locale vicino a dove stavo io allora.
C’erano 3/4 artisti nella line up, tipo showcase, e io avevo con me il mio Ep che ho proposto al gestore.
Mezz’ora dopo io ero ancora lì e mi dicono di averlo ascoltato e di aver apprezzato i pezzi e mi hanno proposto di esibirmi la sera dopo sempre in uno showcase.
Ho aperto la serata e alle 20 di sera con la mia chitarra ho suonato davanti credo a 5 persone. Quindi è stato il mio debutto a Londra.
Poi ci ho suonato anche altre volte diventando amica del fonico e creando contatti.
Quali sono le tematiche che hai più a cuore?
Fino ad ora mi sono sempre attenuta a temi personali ed esperienze mie o di amici.
Non ho riflettuto su altri temi e non escludo di farlo in futuro.
Di recente però mi ha fatto molto piacere suonare per Music for Mental Wealth, un’organizzazione a supporto delle persone colpite da problemi di salute mentale nell’industria musicale che è una delle industrie più stressanti in cui non ci sono garanzie ed è tutto molto incerto.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Già quello che sto facendo adesso, se me l’avessero detto 6 anni fa prima di trasferirmi, o addirittura prima di scrivere pezzi, non ci avrei creduto.
Quindi già quello che sto facendo adesso è un primo traguardo. Poi, ovviamente, andando avanti vorrei vivere di questo, andare in tour in giro per il mondo e far conoscere la mia musica a quante più persone possibile.
In futuro potresti scrivere un pezzo in italiano?
In realtà sì, mi piacerebbe. E’ una cosa che ho pensato ultimamente e che un giorno mi piacerebbe fare. Cimentarmi in un pezzo in italiano proprio perché sono italiana e mi rendo conto di quanto sia bella come lingua anche quando sento gli inglesi dire che è una lingua musicale.
Raffaele Cirillo, Vittorio Formignani
Sito web: https://www.alicepisano.com/
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/alicepisanomusic/
Potete ascoltare le canzoni di Alice qua: