Cosa ci si può aspettare da un tappezziere della Mexican Town di Detroit, al suo terzo album solista?
Beh, credo che la risposta più esatta sia “mai abbastanza”.
Jack White ancora una volta riesce a riscrivere lo standard della canzone contemporanea. E lo fa sperimentando, riuscendo a far coesistere nello stesso brano mondi apparentemente molto distanti tra loro, ma che dopo l’ascolto di questo album sembrano inseparabili. Un po’ di tempo fa fremevo per l’uscita del nuovo disco di quel genio di Jack White, da troppo tempo fermo. E così pubblica sulla sua pagina Facebook un’intervista dove dice che sta lavorando al suo disco nuovo, dove vuole “fondere punk, blues, hip hop e gospel”. Beh, la cosa assurda è che ci riuscito, e tremendamente bene.
Boarding House Reach è un insieme di chitarre distorte all’inverosimile, di riff che vanno dall’ipnotico alla carica più dura, di riflessioni importanti e momenti quasi poetici, che ti trascina in un vero e proprio uragano di sonorità che al suo passaggio distrugge tante tue certezze musicali. Sembra quasi che il nostro musicista americano si metta volontariamente il bastone tra le ruote per poi uscirne con dei numeri che nemmeno 100% Brumotti, come che il meglio di sé lo dia a venir fuori da situazioni scomode dove egli stesso si è volontariamente cacciato. Ad esempio in Ice Station Zebra, uno dei primi singoli che sono usciti, parla di come la nostra creatività nasca dalle libertà che ci concediamo. Di come non serve scimmiottare un’eccellenza nel nostro campo per darle sfogo, ma di “lasciarci andare” e andare oltre. E già questo messaggio, dovrebbe essere un po’ una Bibbia per tutti coloro che provano a fare musica inedita.
White ha deciso di scrivere questo disco proprio come faceva agli inizi della sua carriera, chiuso in una stanza con un equipaggiamento base, e di ricombinare e modificare le sue registrazioni analogiche poi in digitale. L’unione di due mondi, che non comprende solo questi due: allo stesso modo in cui infatti Bowie, per il suo ultimo Blackstar, si circondò dei migliori jazzisti della scena di New York (tra cui Tim Lefebvre della Tedeschi Trucks Band), allo stesso modo Jack si circonda dei migliori musicisti della scena hip-hop ed R&B. Strutture ritmiche tipiche di quei generi suonate però da musicisti veri e non da Drum Machine, ma con i suoni presi, capovolti, distrutti e ricostruiti che nemmeno sembrano più reali. Con i Moog e i sintetizzatori che si fondono, con i suoi fuzz estremi che a volte toccano il funk, a volte la musica elettronica, a volte ti chiedi se non sia un disco degli White Stripes.
La forma canonica della canzone è stravolta: meno della metà delle canzoni del disco sono strutturate nella maniera canonica. Ed è soprattutto da qui che si vede il suo genio: veramente ancora nel 2018 abbiamo bisogno di strofa-ritornello-strofa-ritornello-bridge-ritornello? Direi assolutamente di no. Perché Jack White non inventa qualcosa di nuovo: lo costruisce. Con chitarre che suonano come synth e strumenti digitali che suonano come quelli veri, riscrivendo pure la struttura delle canzoni. È qualcosa di nuovo, ma lo senti che in fondo è qualcosa che conosci bene, che conosci da sempre. La voce di White viene filtrata, distorta, maltrattata, processata e intrecciata con quei meravigliosi cori gospel delle McCray Sisters. Riff estremi come quello di Over And Over And Over si sposano alla perfezione con la tradizione gospel, e ne esaltano la potenza di questo genere: ci avevate mai fatto caso di quanta potenza abbia? Io si, ma non riuscivo a spiegarmelo del tutto, fino a che con questo brano Jack White me l’ha spiegato.
What’s Done Is Done è una classica ballata acustica alla White, al confine tra folk, country e bluegrass, dove però l’organo Hammond si sposa con un beat elettronico di una drum machine.
La traccia di apertura, Connected By Love ha un sapore neo-soul, ma è un brano dove la sua forza la senti bene e subito, e quando ancora una volta nel ritornello si aprono i cori gospel te ne accorgi davvero.
In Corporation un riff distorto si sposa con accompagnamento funk di basso synth, o almeno credo, ma non mi meraviglierebbe venire a sapere che si tratta di un Clavinet distrutto e ricostruito a suo piacimento.
In Hypermisophoniac suoni ed ambientazione elettronica si intrecciano con una voce distorta e processata contornati da un piano che spesso regala note jazz.
In Abulia e Akrasia, recita persino una fiaba moderna, e chiude il disco con Humoresque, una canzone attribuita ad Al Capone solo per il fatto che, innamoratosi del brano, lo trascrisse su un foglio durante la detenzione ad Alcatraz.
Insomma, Boarding House Reach non è affatto un disco semplice, né al primo, né, forse, al secondo ascolto. È un disco che va ascoltato all’inizio a piccole dosi, digerito per bene, capito. Ma il consiglio che vi do è quello di non fermarvi: andate fino in fondo, riprendetelo in mano, ascoltatelo, ancora e ancora. Perché capirete che ci sarà sempre qualcosa che vi spingerà a riascoltarlo, ancora ed ancora. E quando sarete riusciti a percepire il filo conduttore che tiene unito tutto, vi sarete arricchiti sul serio, di tutto ciò che di più bello la musica può darci e può insegnarci.
Jack White si riconferma un genio immenso, che di fronte ad uno stallo della musica internazionale non si ferma, anzi, riesce a far convivere realtà totalmente diverse riuscendo a creare un disco incredibile, che sicuramente lancerà le basi per un qualcosa di nuovo, in evoluzione, sempre aperto a nuove contaminazioni e nuove influenze. Anche se credo fortemente che le influenze che questo stesso disco avrà sui dischi futuri, saranno decisamente notevoli.
Ancora una volta, grazie, Jack White.
Jacopo Aneghini
Tracklist
- Connected by Love – (04:37)
- Why Walk a Dog? – (02:29)
- Corporation – (05:39)
- Abulia and Akrasia – (01:28)
- Hypermisophoniac – (03:34)
- Ice Station Zebra – (03:59)
- Over and Over and Over – (03:36)
- Everything You’ve Ever Learned – (02:13)
- Respect Commander – (04:33)
- Ezmerelda Steals the Show – (01:42)
- Get in the Mind Shaft – (04:13)
- What’s Done is Done – (02:54)
- Humoresque – (03:10)