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Se in una comune domenica di Luglio vi si presentasse la possibilità di andare a vedere un festival di concerti e tra le altre cose voi ci abitaste di fianco, avreste davvero il coraggio di dire no?
Ecco, se stiamo scrivendo adesso, è perché noi abbiamo voluto cogliere l’occasione al volo.
L’evento in questione è stato il Comfort Festival che ha visto avvicendarsi sul palco del Ferrara Summer Festival nomi di spessore per le rispettive aree di genere e interesse come: Wolfmother, Kurt Vile and the Violators, Glen Hansard e Jack Johnson perdendoci il resto della programmazione che ha visto le esibizioni di Francesco Piu, Pillow Queens e Ocie Elliott visto che i biglietti ci sono stati consegnati tardi, fatto che ci ha permesso di entrare solo alla seconda canzone degli Wolfmother.
Infine, l’ultima grande premessa è che siamo andati pur conoscendo solo alcune delle canzoni di determinate band ed artisti mentre di altri ne avevamo sentito solamente parlare.
In realtà, questi fattori non sono stati affatto negativi; al contrario, l’energia dei Wolfmother è stata così coinvolgente da catapultarci immediatamente nell’atmosfera tipica di un festival musicale.
Infatti, se si vuole un concerto rock esplosivo e che rianimi, i Wolfmother lo possono offrire eccome.
Nonostante il sole in faccia e un discreto caldo, anche grazie alle canzoni più rinomate come The Joker and The Thief e Woman, i Wolfmother hanno dimostrato qual’è l’atteggiamento di una band che non soltanto sa coinvolgere il pubblico anche quando non è in una situazione congeniale ( il loro habitat naturale sarebbe una rassegna hard rock con gente ammassata che si scatena a ritmo della loro musica) ma che sa anche rispettare il pubblico, l’evento e la propria musica dando il massimo indipendentemente che si stia suonando in un festival che predilige l’ascolto della musica in modo intimo e “confortevole” come il Comfort o uno in cui lasciarsi prendere da delirio dionisiaco.
Toccante è stato anche il momento in cui il cantante ha fatto notare che c’era anche la sua famiglia a vederlo ed erano da anni che non succedeva. Anche le celebrità sono uomini come noi.
Successivamente sono saliti sul palco Kurt Vile and the Violators. Con loro si è inaugurato a tutti gli effetti il lato più in linea con il titolo del festival. Una serie di canzoni di lunga durata, meditative, rese ancora più intime e personali dallo stile profondamente atipico di approccio alla chitarra di Kurt. Ad aumentare questo senso meditabondo ha aiutato il calare del sole che ha permesso di avvicinarsi almeno metaforicamente ai musicisti quasi fossero in un club e non più in una piazza di una città.
Col calare della sera arriva anche Glen Hansard e se con Kurt si è esplorato il lato più riflessivo dell’intimità, con la musica di Hansard si è arrivati a quel tipo di interiorità piena di gioia e di dolore che viene espressa a squarciagola ma che permette di tornare in pace col mondo e continuare a vivere con la stessa intensità con cui Hansard ha cantato tutta la sera. Momenti da non dimenticare sia quello in cui Hansard ha raccontato e suonato il brano dedicato a sua madre sia quello in cui ha cantato senza microfono e, nonostante tutto, la sua voce e l’intensità delle sue emozioni hanno comunque riverberato in tutta la piazza.
Una resurrezione.
Il concerto è stato concluso da Jack Johnson che dell’intimità ha portato a galla quei momenti in riva alla spiaggia in cui ci si riconcilia con la vita e sembra che tutto andrà nel verso giusto trasformando così il festival in un’estiva festa dal sapore di vacanza e ferie.
Quest’ultimo risvolto gioioso e riappacificante è stato poi amplificato dalla comparsa sul palco di Glen Hansard, Andrew Stockdale dei Wolfmother e Kurt Vile che, invitati da Jonhson senza alcun preavviso, hanno eseguito brani celebri da Rock and Roll dei Led Zeppelin a Gloria dei Them.
Una piazza in festa che celebra la vita.
Che cosa ci portiamo a casa da questo Comfort Festival? Molto.
Che la musica è un’esperienza e che quando conosci musica nuova e ascolti gli artisti che l’hanno composta si scoprono mondi nuovi e modi diversi dai propri con cui altre persone percepiscono il mondo.
Che questo tipo di manifestazione in cui si lascia la libertà al pubblico di decidere se andare sotto palco o rimanere seduti dà l’opportunità di poter scegliere come vivere un momento come quello di un festival con le proprie modalità dando non soltanto un gran senso di libertà ma di condivisione di qualcosa che avvicina come degli artisti che proponendo la loro musica ci ricordano che siamo tutti uomini.
Che il modo migliore per vivere è la presenza indipendentemente dalle circostanze.
Che in fondo da sempre la musica è una risorsa per ricominciare.
Che cosa mi porto a casa io invece?
Probabilmente la cosa più scontata che si possa dire: una serata piacevole per non dire “confortevole” ma forse c’è di più.
Mentre ascoltavo e guardavo questi musicisti venuti da parti del mondo che non conosco e forse non conoscerò mai mi è più volte passato questo pensiero per la testa.
Per tutta la serata non ho potuto fare altro che rimanere continuamente stupito dalla casualità che ha portato nella mia città i musicisti esibitisi. E ciò da cui rimanevo ancora più gratificato è stata la sensazione di riuscire quasi a percepire sulla pelle ( poiché di una minima parte posso dire di averne fatto esperienza) tuti gli sforzi e i sacrifici che questi artisti hanno compiuto da quando hanno cominciato a suonare fino al concerto a cui stavo assistendo come se gli avessi fatti anche io. E l’origine di tutto questo deriva dalla grande capacità, che tutti loro hanno allenato e fatta loro, di trasmettere emozioni attraverso la vita racchiusa nelle loro canzoni.
Da musicista ho sentito il desiderio divampare per riuscire anche io ad emozionare così un giorno, da uomo, anche grazie a come è stato pensato il festival, ho riscoperto ancora una volta la bellezza dei concerti e provato unicamente una grande commozione.