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Intervista all’Odore della Neve: Condividere un Pezzo di sé

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“L’Odore Della Neve” è un duo che riprende la tradizione del cantautorato italiano a Ferrara. Le loro sonorità semplici e i loro testi sognanti all’interno del loro nuovo album “La Notte più lunga che c’è” pubblicato a maggio del 2022 ci accompagnano in un’atmosfera onirica come se l’album accompagnasse l’ascoltatore in una sorta di viaggio.

“L’Odore della Neve” è il progetto musicale di Lorenzo Magnani e Silvia Loiacono.

https://www.instagram.com/odoredellaneve/

Come è nato il nome del progetto?
Il nome è nato dal fatto che a me personalmente piace molto la neve, nel senso che se io devo pensare a qualcosa di bello il pensiero va subito alla neve, quindi volevo che il nome appunto c’entrasse o avesse a che vedere con la neve.
Abbiamo fatto un elenco dei vari nomi che avremmo potuto scegliere fino a che non è uscito “Il sapore della neve”. Volevo qualcosa che si discostasse dalle idee che la gente di solito associa alla neve per esempio l’idea di freddo o del bianco.
E’ stato scelto quindi “L’Odore Della Neve” perché appunto è qualcosa che si discosta completamente e che per questo motivo va in contrasto con quello che pensano di solito le persone.

Chi scrive i testi? Perché la scelta di far assomigliare le canzoni a delle poesie discostandosi dalla tipica struttura strofa-ritornello?

Testi e Musica li scrivo io; per quanto riguarda la struttura, invece, è un semplice fatto di abitudine, soprattutto per quanto riguarda i ritornelli.
Col fatto che scrivo i testi a prescindere dall’essere musicati non sono alla ricerca di qualcosa che per forza ritorni e nei casi in cui capita è semplicemente perché è nato spontaneamente e mi piaceva.

Le canzoni dell’album sono in qualche modo collegate? Raccontano una storia o sono scollegate fra loro?

Tutte le tracce sono collegate tra loro, comprendendo una settima traccia che non è stata pubblicata.
Il filo rosso che le collega è la solitudine; solitamente, gradivo la solitudine ma ultimamente ho cominciato ad accusarla soprattutto se prolungata. Quattro brani del disco e uno, ancora inedito, sono tutti collegati al periodo dell’estate 2021 in cui Silvia, con cui convivo, è dovuta stare via da Ferrara per 6 mesi circa. Queste 5 canzoni (Il Salto, Walzer del ritorno, Come la prima volta e Un Giorno di Neve) sono state scritte in 2 settimane e via via che le scrivevo le mandavo a Silvia. Erano un modo per condividere quella quotidianità con lei.
Le ultime due tracce del disco invece fanno riferimento al periodo di natale 2021. In questo periodo, io e Silvia siamo dovuti stare in quarantena. Il brano “Compieta” in particolare è una vera e propria autoanalisi.

Nelle vostre tracce ci si riferisce molto spesso all’ascoltatore, nasce da un’esigenza particolare o è una pura scelta stilistica?

In realtà, è più come se mi rivolgessi ad un interlocutore che però non è l’ascoltatore. Molti pezzi infatti sono nati per essere cantati a me stesso. Capita anche che alcuni pezzi non li pubblichi perché non non sento l’esigenza di farlo.
In molti brani questo interlocutore è Silvia appunto perché era lontana mentre scrivevo; altre volte sono io o ad esempio nel “Salto” mi rivolgo ad un amico inteso, come figura e non a qualcuno in particolare.

Cosa ne pensi dell’ambiente musicale Ferrarese sia come ascoltatore che come artista?

Come ascoltatore posso dire che ci metto molto tempo a “sbloccarmi” in un determinato ambiente musicale. Appena arrivato a Ferrara, infatti, davo per scontato che non ci potessero essere artisti interessanti a parte gli Impact di cui ero già un fan ancora prima di arrivare.
Quello che mi ha fatto cominciare ad ascoltare gli artisti locali è stato conoscere “Le Iene” con cui ancora oggi ho un forte legame di amicizia. Dopo di loro mi sono spostato su gruppi come “I Pestafango”, gli “Strike” oppure anche gruppi come i “Bodoni”, le “Lucertole” ed altri. Per quanto riguarda gli ascoltatori, invece, un grande difetto che vedo è che la gente non viene a concerti di band che non abbiano nomi già affermati all’interno della scena o di cui non conoscano i componenti. Poche persone si interessano alle realtà emergenti anche da altri luoghi non solo all’interno di Ferrara.

È stato difficile il debutto? Sappiamo che ci vuole coraggio e dedizione per questo progetto. Avreste qualche consiglio da dare magari a qualcuno che vorrebbe iniziare?

Sulla questione del debutto: è stato difficile. In primis perché è la prima cosa che faccio uscire come disco sia sulle piattaforme che come disco fisico. Siamo nel 2022. Io ho iniziato questo progetto nel 2015/16 – con anche un altro nome – impiegando quindi sei o sette anni per debuttare. Avrei potuto farlo prima dato che le registrazioni oramai le paga l’artista e se le pubblica lui, quindi in sostanza basta avere qualche soldino da parte e ce la si fa senza problemi… È un discorso diverso. Il debutto è stato difficile e così lungo perché ho avuto bisogno di tempo per capire la direzione che avrei voluto prendere e che ora può venire alla luce in maniera ufficiale. Non so spiegarlo bene: prima magari la vedevo come una cosa a mio uso e consumo, non che non mi piacesse suonarle fuori, ma il solo fatto di non riuscire a pensare a un arrangiamento diverso da quello chitarra e voce non mi ha mai fatto venire in mente di pubblicare un disco chitarra e voce. La svolta è arrivata grazie a Marco degli Esposti, ai suoi arrangiamenti e al suo farmi forza nel credere in questo progetto. Infatti, dopo aver ascoltato i brani – dato che anche lui è un cantautore e volevo un suo giudizio -mi ha detto subito di volerli registrare. Consigli da dare a chi deve debuttare sinceramente non me la sento di darne, non per cattiveria, ma perché non mi sento la persona meglio indicata per darne. Io sono fan di chi canta e scrive cose per passione e non per avere fama e successo. L’unico consiglio che mi viene da dare è quello di essere onesti con se stessi; se si deve fare della musica, se la si deve scrivere e creare dei testi per vendere, avere successo e farsi conoscere secondo me non ha senso. Secondo me, quello che si mette a fare il cantautore scrivendo testi e brani per suonarli con un gruppo lo deve fare perché gli piace e non deve scendere a compromessi per far sì che il suo disco faccia il botto. Dico questo perché in Italia al momento non c’è tantissimo spazio per chi sa quali esordi coi fuochi d’artificio. Non facciamoci incantare facilmente dalla favola dei Måneskin… c’è tutta una struttura discografica dietro, loro non sono nati così dalla sabbia diventando famosi perché si facevano il culo in cantina. Dietro c’è un progetto di firme, pubblicità ecc. non funziona così facilmente insomma. Ribadisco il mio consiglio di essere onesti con se stessi e fare quello che piace fare, in modo che indipendentemente dall’arrivo del successo sarai lo stesso contento del risultato e mi sembra la cosa migliore.

Abbiamo visto che avete anche un video caricato su YouTube della prima traccia . Da dove è derivata l’idea del concept? Potreste spiegarci l’idea alla base?

Tutto nasce dal semplice fatto che mi sarebbe piaciuto dare un “colore” in più. Il testo può essere interpretato in tanti modi e la musica già da una chiave interpretativa di un certo modo, di un’atmosfera che si esprime in un dato modo. Il video arriva ad essere un’ulteriore indicazione per come viene interpretato il pezzo. L’idea era quella di farne uno per ogni brano ma vediamo se si realizzerà. Per questo primo video, abbiamo scelto di collaborare con Massimo e Sara di Officina Teatrale Actuar perché sono miei compagni di lavoro nell’ambito teatrale, lo sono stati al teatro Nucleo e lo sono adesso dato che lavoriamo ogni tanto insieme tramite la loro associazione. So come lavorano e so la loro modalità di costruzione e di coreografie, movimenti e situazioni sceniche e penso sia lo stesso modo di lavorare che ho io quindi è una situazione di cui sapevo di potermi fidare. Gli ho dato due o tre indicazioni ma gli ho lasciato il più possibile carta bianca affinché potessero essere liberi di lavorare come volevano e di dare anche la loro interpretazione. Tutto è nato prima nella mia testa. Quando ascoltavo il brano mi si formavano nella testa delle immagini, delle scene e semplicemente ho poi cercato il più possibile di riprodurle nel video. A me piace, quindi credo di esserci riuscito. Può non piacere, per esempio a mio padre fa schifo quel video, però insomma.. legittimo! Va benissimo così.

Dato che abbiamo notato che il disco richiedere un’attenzione maggiore per recepirlo, come si ascolta questo album e in quale momento?

Mi vien da dare delle indicazioni che sono poi quelle che metto in atto io quando ascolto un disco nuovo cantato in italiano. La possibilità di reperire il testo secondo me è fondamentale. Mi avete fatto notare che i testi non ci sono su internet, li metterò da qualche parte sicuramente che sia probabilmente sulla pagina facebook, o anche su instagram. Non ci avevo pensato ed è una grande mancanza e rimedierò al più presto. Il primo ascolto quindi io lo farei con il testo sotto. Questo per poter apprezzare a 360° tutto. Il secondo ascolto lo farei anche steso sul divano o sul letto… occhi chiusi, luce spenta e si ascolta. Magari facendo più attenzione all’aspetto musicale, agli arrangiamenti di Marco che sono fantastici. Mi viene da proporre di ascoltarlo anche tranquillamente in macchina se si conoscono già i testi ecco, anche se sinceramente lo vedo poco indicato perché un po’ delicatino, però ci può stare perché no? Il momento migliore me l’ha suggerito una persona che dopo aver ascoltato il disco mi ha detto che lo ascolta prima di andare a dormire e questa cosa per me è bellissima. Mi ha fatto quasi commuovere perché quando vivevo da solo andavo sempre a dormire con le cuffie nelle orecchie, ascoltando i miei brani preferiti. Il fatto che una persona possa andare a dormire ascoltandolo come ultima cosa della giornata e che in qualche modo possa farlo per aiutarsi a prender sonno – se non è per noia che prende sonno ma per serenità – è una cosa bellissima, un regalo bellissimo per cui sono molto grato. Tra l’altro questa è una persona che io non conosco personalmente. Questa notizia mi è arrivata di rimbalzo quindi, in un qualche modo, la sento vicinissima quasi fosse mia sorella la persona che mi ha detto una cosa del genere. È un ascolto notturno, come consiglia il titolo della prima traccia, autunnale o invernale… lo vedo molto un disco casalingo.

Qual’è la più grande soddisfazione che potresti ricevere da chi ascolta questo album? Hai un sogno nel cassetto sia in generale sia nella musica?

Una è quella che ho detto prima, quindi una persona che mi dice che lo ascolta prima di andare a dormire. Per me è una cosa bellissima e mi fa quasi commuovere. L’altra è che chi ascolta questo album possa provare un qualche tipo di emozione, che non rimanga indifferente. Mi va benissimo anche se l’emozione è negativa e che il commento sia un “mi ha fatto schifo”, chiaro che preferirei che fosse positiva. Devo dire che non è per lodarmi, però sono capitate tante persone – molte di più di quelle che mi aspettavo – che dopo aver ascoltato sia il disco dal vivo che i brani su Spotify mi hanno detto di essersi commossi dritto in faccia – spero che non abbiano detto il falso, ma conoscendole non credo- e questo per me è una soddisfazione enorme. Il fatto di poter far suscitare certe emozioni in una persona è un’emozione enorme anche per me senza ombra di dubbio.

Hai un sogno nel cassetto sia in generale sia nella musica?
In ambito musicale mi piacerebbe essere apprezzato da persone di cui ho stima. Il fatto che i pezzi di questo disco siano stati apprezzati da delle persone di cui ho enorme stima, in primis Marco a cui i miei pezzi sono piaciuti cosi tanto da chiedermi di volerli registrare, è una soddisfazione, un sogno realizzato. Un altro è quello di poter suscitare emozioni sparse. Non puntavo ecco ad avere un milione di ascolti, ci mancherebbe, mi rendo conto che non è possibile questa cosa, ma mi piacerebbe che questo disco potesse raggiungere le persone che potrebbero apprezzarlo. Magari ci sono dieci persone in Sicilia a cui questo disco potrebbe piacere, anche se mi rendo conto che è molto improbabile che lo ascoltino. Però magari ci sono e adorerei se mi scrivessero dicendo di averlo ascoltato e magari apprezzato. Il fatto di sapere di far suscitare emozioni e raggiungere certe persone. Non mi interessa di guadagnarci con questo disco o quelli futuri, non mi interessa campare di musica diventando il nuovo De Gregori o il nuovo De André, non ho assolutamente questa aspirazione perché conosco molto bene i miei limiti però mi piacerebbe poter raggiungere molte persone in generale.

Il mio sogno nel cassetto in generale al di fuori dall’ambito musicale sarebbe quello di andare a dormire tutte le sere contento e felice della mia vita e della mia giornata. Non ho un sogno nel cassetto tipo “voglio fare l’astronauta” o “voglio aprire una mia industria”. Voglio in un qualsiasi modo, trovare la felicità nella mia vita, voglio arrivarci. Se la felicità è vivere in una capanna in montagna con Silvia, il nostro cane e il nostro gatto mi va benissimo. Se la felicità è andare a spaccare dei sassi in una miniera mi va benissimo, lo accetto purché io riesca ad arrivare alla sera contento. Questa è una cosa a cui mi sto avvicinando più o meno ora in realtà.

Se per te sono molto importanti i testi, perché non scrivere e basta? Cosa aggiunge la musica alle parole?

Parto dal presupposto che io scrivo tanto anche delle cose che non vengono messe in musica e mi sento a disagio nell’utilizzare il termine “poesia”. Scrivo delle cose che hanno una metrica, quindi tendenzialmente mi viene da chiamarle poesie, anche se nelle poesie contemporanee le persone tendono a spezzare un pò i versi quando fa comodo. Quello che scrivo io ha quindi sia una metrica che viene musicata, per i testi che vengono messi in musica, sia una metrica per i testi che non vengono messi in musica. Ho una scansione sillabica in testa quando scrivo e i miei testi di conseguenza hanno una scansione metrica.

Un grande numero di testi scritti però non sono stati musicati. Ho cominciato nel primo lockdown di più come allenamento per non perdere la mano. Scrivevo testi partendo dal titolo, ovvero una parola a caso presa dal vocabolario; lo aprivo tre volte e sceglievo quella che poteva aderire meglio per scrivere una poesia, un testo. La musica aggiunge un colore, un ‘interpretazione. Il fatto che il testo venga musicato in un certo modo da una chiave di lettura, suggerisce un’atmosfera, un’emozione, è come se fosse una lente data all’ascoltatore per poter interpretare il testo. Inoltre sono testi che io scrivo in primis per cantare a me. Io scrivo le canzoni e i brani che mi piacerebbe ascoltare. A me piace il fatto che sia a mio uso e consumo. Poi, chiaramente, siccome piace a me mi piacerebbe farlo ascoltare ad altri. Mi piacerebbe che più persone possibili lo ascoltassero ma non è il primo obbiettivo. Io sono il primo obbiettivo. La differenza è che un testo scritto, è scritto, ed è li. Pochissime persone hanno letto i miei testi che non sono stati musicati, non perché sia timido ma perché c’è differenza. Un testo messo in musica lo puoi cantare. Con un testo solo scritto cosa faccio? Vado dalla gente incitandola a leggere? Non lo so, mi sembra un pò spocchioso poi magari mi sbaglio. Mi piacerebbe tra l’altro fare un libricino con cose che ho scritto io… però un libro costa di più. Detto banalmente se devi autoprodurlo completamente costa molto. Ho anche provato a pubblicare delle poesie attraverso una piccola casa editrice qualche anno fa ma non mi ha dato grande soddisfazione, quindi me le tengo li e fine.

Ci parli del tuo percorso musicale dagli inizi?
Io ho iniziato a suonare il basso nel 2001 a undici anni. Ho scelto il basso perché in quel periodo uscì il disco “By The Way” degli Red Hot Chili Peppers, e vidi i video di quel disco ovvero By The Way, Universally Speaking, Can’t Stop e Zeffer Song e da lì mi innamorai perdutamente del gruppo e siccome il bassista era bravissimo volevo suonare come lui. Così ho iniziato. Non ho praticamente avuto gruppi fino ai vent’anni circa. La mia prima esperienza in un gruppo è di fatto con i Sindrome Ittica – dove avevo circa ventitré anni – con cui mettemmo su sei sette pezzi organizzando un’ unica data nel 2013 mi pare, poi ci siamo fermati. Arrivato a Ferrara facevo una gran fatica a trovare gente con cui suonare sopratutto i primi anni perché facevo su e giù da Cattolica. Solo nel 2015 mi ci sono stabilito effettivamente. Principalmente all’epoca suonavo da solo iniziando ad idealizzare questo progetto che poi è diventato “L’odore della neve” prima intitolato “da Sfuf”.
Il primo gruppo che sono riuscito effettivamente a mettere su è stato due anni dopo nel 2017 con gli Heute Nebel. Poi ho suonato per un periodo molto esiguo con un altro gruppo di Ferrara che si chiamano Mat.Evo con cui suonavo il basso. Ho suonato per un progetto intitolato Taulant, che era un progetto nato nel centro sociale La Resistenza. ed era un collettivo di musicisti sostanzialmente impegnato a suonare per determinate situazioni a tema. Da un paio d’anni suono il basso con i Luna Sogna Helsinki. Faccio volentieri il dj set tra bolognesi e altre situazioni.

Perché invitare a collaborare nel video l’officina teatrale e perché inserire un’opera di Lorenzo Romani in copertina? Come si sceglie l’immagine di copertina ?

Io conosco Lorenzo Romani perché suoniamo insieme nei Luna Sogna Helsinki. Ho scoperto solo dopo un po’ che lo conoscevo che è un pittore e i suoi quadri a me piacciono molto. Quindi mano a mano che il disco prendeva forma mi è venuto naturale immaginarmi dei suoi quadri in copertina perché mi suscitano delle emozioni simili a quelle dei brani del disco. Nella fattispecie per la scelta della copertina del disco ha dato il suo contributo Sonia Bertazzoni – che ci ha fatto anche le grafiche – alla quale abbiamo mandato le nostre 4 scelte dei quadri di Lorenzo per poi lasciare anche a lei carta bianca per la realizzazione. Secondo me per la scelta della copertina è fondamentale essere, non dico un riassunto delle musiche del disco, ma almeno una grande indicazione di quello che poi ci troverai dentro proprio perché è la prima cosa con cui vieni a contatto. Io faccio fatica a concepire i dischi che come copertina hanno le facce dei membri del gruppo. Non dico che non ci possa essere il gruppo. Ha senso se la loro presenza è giustificata in qualche modo, cioè se nella copertina il gruppo non sta solo li a braccia conserte a guardare la fotocamera ma da un indicazione di quello che troverai all’interno appunto.
Il quadro di Lorenzo secondo me funziona quindi, perché dice tantissimo di quello che si troverà all’interno del disco. In questo momento ho il disco in mano e lo sto guardando e sono sempre più convinto di aver fatto una scelta giustissima, e che Sonia abbia realizzato un progetto grafico perfetto per lanciare quel messaggio.

Sofia Mari, Filippo Rossati

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