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Intervista esclusiva a The Moonlight Basement

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Ph. Maristella Magnani

I Moonlight Basement sono una rock band indipendente ferrarese che ha iniziato a produrre musica nel 2019. Dopo aver pubblicato il loro primo EP “.550” esce un nuovo singolo nel 2021 intitolato “Greetings… from Mr. Boh

I componenti del gruppo sono:

Vittorio Formignani: Chitarra e voce

Raffaele Cirillo: Chitarra

Raffaele Lazzari: Basso

Luca Veronesi: Batteria

Chi è il vostro leader?

Luca Veronesi: La creatività, questa spinge la nostra formazione a mettersi a disposizione della creazione di nuovi brani e all’evoluzione di idee. Io, ad esempio, pur essendo il meno talentuoso, quando ho qualche “imbeccata musicale”, il gruppo si mette a disposizione per farla evolvere. Quindi la creatività è il nostro leader.

Raffaele Lazzari: Nel mio immaginario, il leader è colui che si prende carico della band e porta tutti i problemi ad essa connessi sulle proprie spalle. Per questo sono dell’idea che non debba esistere questa figura nei Moonlight Basement, si soffre e si gioisce tutti insieme, così da rendere l’esperienza musicale ancora più ricca.

Vittorio Formignani: Anche se solitamente nell’immaginario si ritiene che il leader di una band sia il cantante e, perciò, nel nostro caso dovrei essere io, ritengo che nella nostra band non ci sia questo ruolo almeno nel senso in cui lo si intende. Più che altro ci intenderei come uno sforzo collettivo in cui ognuno mette al servizio ciò che è intrinsecamente suo per arricchire l’espressione sia artistica che musicale. Perciò, ognuno diventa leader nell’ambito della propria specialità.

Questo, ragazzi, è il vostro secondo lavoro: ad un primo ascolto mi sembra di sentire un suono più ricercato e maturo, ma allo stesso tempo fresco e, seppur in linea con il precedente, aperto a nuove sonorità. Secondo voi quest’ultimo brano cosa aggiunge al precedente “.550”?

Luca: Aggiunge la consapevolezza che, pur variando alcune dinamiche e sonorità, sono ampiamente nel solco del nostro modo di esprimerci attraverso la musica.

Vittorio: Greetings from… Mr. Boh, sin da quando l’abbiamo scritta e poi registrata in studio, voleva distaccarsi dall’ Ep .550 ed esplorare nuove possibilità e atmosfere che al ritorno dal lockdown dell’inizio del 2020 erano nate in noi. Perciò più che un brano revival di qualche epoca, come ci è stato detto in qualche caso per alcuni brani dell’Ep, volevamo fosse figlio del tempo che stavamo vivendo se non magari più lungimirante. Una novità per me in questo pezzo è stata soprattuto un approccio diverso, ma non per questo meno naturale, al metodo e alla metrica della parte cantata.

Raffaele Cirillo: Mr. Boh è nato musicalmente durante il primo lockdown, il testo è stato scritto durante l’estate ed è stato registrato a cavallo dell’entrate delle regioni nelle zone prima arancione e poi rosse dunque ha vissuto su di sé e contiene tutte le fasi di questo periodo difficile anche se non ne parla direttamente – ci sono già state troppe canzoni sul covid, non se serviva un’altra – quindi per via di tutte queste cose che sono accadute, il suo percorso dalla nascita alla realizzazione ha portato ad un risultato che non è quello che, almeno io mi aspettavo… l’ambizione era quello di fare qualcosa che non ci si aspettasse da noi perché sinceramente l’etichetta che abbiamo di band beat a me personalmente pesa, però va bene così, fa parte del mestiere e tempo per sperimentare ne abbiamo.

Raffaele Lazzari: Greetings from… Mr. Boh non ha lo scopo di aggiungere nulla ai lavori precedenti: il nostro percorso è composto da diverse esperienze e tutte devono rimanere parimenti importanti; vedetelo come un singolo tassello che compone la nostra storia e le nostre ideologie in un puzzle più generale. Per noi crescere non è importante quanto rimanere sinceri in quello che facciamo, e quello che facciamo è cercare sempre nuove direzioni che possano appartenerci, senza mai accantonare o rinnegare il nostro passato: futuro presente e passato devono convivere.

 So che siete stati più volte a Londra, era un viaggio di piacere o avete cercato ispirazione dalla swinging London? Lo dico perché sento un sound particolarmente british soprattutto nello stile ritmico delle chitarre…

Vittorio: Non ti nascondo che per me è stato proprio così. Avevo una voglia matta di carpire e captare l’aria di questa metropoli, capitale di una nazione che partendo dagli anni 60 in poi è stata madre di rivoluzioni culturali e sociali. E’ stata un’esperienza quasi mistica perchè più che andare in giro a fare i turisti io stavo cercando di trovare un filo rosso che potesse ricongiungerci a quegli avvenimenti e artisti. Se all’inizio sono andato alla ricerca cerca dei Beatles poi ho provato a rintracciare Oasis, Smiths, Joy Division, Blur, Arctic Monkeys e 1975. E’ stato un modo per capire come, con la nostra musica, farsi passare un testimone che potesse sfociare in un nostro stile unico.

Raffaele Cirillo: Io le città principali dell’Inghilterra le ho visitate quasi tutte, almeno quelle più famose partendo da Londra arrivando a Manchester passando per Liverpool. Londra è stata quella più visitata andando a cercare quei luoghi, di cui molto non esiste ormai più, dove sono passati i grandi che ci e mi hanno ispirato cercando di sentire le vibrazioni di quei luoghi e la loro storia che infondono emozioni forti. Per esempio a Liverpool l’essere di fronte alla casa natale di George Harrison nascosta tra i vicoli di periferia mi ha dato emozioni molto forti guardandomi intorno e pensando al piccolo George che calpestava le pozzanghere formatesi dopo lunghe giornate di pioggia, gli sguardi lanciate alle finestre dei vicini, alzare lo sguardo per vedere lo stesso cielo è vibrante al pensiero che alcune delle canzoni più belle di sempre siano nate influenzate da quellestrade. Ed è questo ciò che cerco in questi “pellegrinaggi” non tanto voler appartenere alla loro cultura per emulazione, ma filtrare quelle emozioni che sono sempre soggettive e uniche. 

Luca: Io personalmente a Londra sono stato due volte per turismo, ma sicuramente le sonorità che dalla capitale inglese sono arrivate fino a Ferrara e ai miei ascolti mi hanno influenzato.

C’è un sound “artigianale”, ma sento molta più maturità in questo ultimo lavoro rispetto al precedente. Vi sentite più evoluti? Infine… come vedete il vostro futuro ?

Vittorio: Ti dirò: mi piacerebbe sentirmi evoluto ma attualmente non stiamo suonando o creando allo stesso ritmo dei nostri tempi biologici e dei cambiamenti repentini che la vita spesso ci presenta. Questo chiaramente è dovuto a questo periodo così anomalo ma non nego che da .550 stiamo cercando veramente di esplorare le nostre possibilità. Il nostro futuro in realtà non vedo l’ora che arrivi perché confido nel potenziale artistico che abbiamo e che, se incanalato nel modo giusto e aiutato anche da una strumentazione sempre più adatta a noi, potrebbe darci grandi soddisfazioni almeno nel lato compositivo.

Raffaele Cirillo: Qualche anno fa facemmo un concerto e alla fine un componente del gruppo che suonò dopo di noi ci venne a parlare dicendo quanto fosse stato – in quell’occasione – esaltante il nostro sound sporco capace di ricreare sebbene fossimo all’aperto una dimensione da club, ed essendo cresciuto con in mente la scena di ‘Blow Up’ di Antonioni con gli Yardbirds che suonano e Jeff Beck che distrugge la chitarra davanti un pubblico immobile, la cosa mia ha lusingato molto e mi è rimasto impresso tanto da diventare la bussola per le nostre composizioni, nonostante non ci poniamo limiti e proviamo ad andare un po’ ovunque musicalmente, tengo sempre a mente quella radice e vorrei fosse sempre presente anche se a volte invisibile. 

Luca: Evoluti sicuramente, e non vogliamo fermarci qui, il nostro futuro deve essere ispirato ma anche di divertimento, perché la musica, per me, è soprattutto questo.

Raffaele Lazzari: Il futuro che vedo è molto prossimo, non voglio fare progetti a lungo termine. Al momento è più importante solidificare il presente per essere pronti ad ogni evenienza, il nostro immaginario farà il resto.

La scuola di musica Amf di Ferrara di cui alcuni di voi fanno tuttora parte, quanto ha influito sulla vostra educazione e cultura musicale e sul vostro sound?

Vittorio: Penso che senza l’Amf la vita che ora sto facendo non esisterebbe. Molte se non tutte le scelte che ho fatto da quando sono diventato studente di chitarra nel 2008 sono state definite dall’aver avuto la possibilità di appartenere a questo luogo. Dai miei insegnanti, in particolare Roberto Formignani e Ambra Bianchi, ho ricevuto valori, orizzonti e una casa in cui poter crescere e tornare. Penso non solo di aver ricevuto un’educazione musicale, le cui basi sono partite inevitabilmente dal blues, ma anche culturale, civica e sociale sfociate poi nel volersi prendere cura della musica e diffonderla come risorsa di “ingentilimento dell’animo” in prima persona con esperienze come questa del Magazine. L’ Amf continua ad essere quel luogo in cui la mia sensibilità non è un limite ma anzi quello che riesce a rendere la mia vita ricca. Qui ho pure incontrato quelli che sono tutt’ora i miei migliori amici tra cui anche Raffaele, occasione senza la quale questo percorso che stiamo facendo con la band non esisterebbe. E’ vero che ho una famiglia a cui la musica è sempre stata a cuore, ma non è detto che avrei percorso questa strada senza questa scuola.

Luca: Molto, nel mio caso indirettamente ma attraverso Vittorio e Raffaele Cirillo (e grazie anche a conoscenze personali delle tante sfaccettature dell’ Afm) ho capito l’importanza di avere un punto fermo come la scuola nella nostra città.

Raffaele Cirillo: Posso dire che il buon 90% di ciò che conosco sulla musica nel senso più ampio possibile proviene da quelle mura. È stato ed è tutt’ora un luogo stimolante dove ogni giorno ci si imbatte in qualcosa di nuovo e dove il cuore di tutto questo risiede nella relazione tra le persone che non fa altro che arricchire il proprio bagaglio musicale anche in maniera improvvisa. Ti faccio un esempio contestuale: sono passato in un pomeriggio dall’essere un estimatore appassionato del blues all’entrare nel sound o meglio a quell’ambiente folle della Manchester degli anni ’80 che fino al giorno prima avevo ignorato con supponenza e che ora la ritengo la base “ideale” del percorso artistico intrapreso… anche se musicalmente rimango estremamente legato a quel sound blueseggiante. Diciamo che nella loro distanza partono entrambe da una radice estremamente profonda e umana, ma rispetto a quella sensazione della blue note tipica del blues sento più vicino a me quel “feel blue” cupo e industriale tipicamente inglese e che dentro di me crea un ibrido che sento particolarmente mio musicalmente.

Ora che si sta assistendo alla fine della pandemia, avete mai pensato di suonare dal vivo, o immaginato come la vostra musica possa suonare live ?

Luca: Sembra che presto avremmo questa occasione attesa.

Vittorio: Certo che ci abbiamo pensato. Dovevamo fare 4 live nel periodo del lockdown dell’inizio del 2020. Se immagino come dovrebbe suonare la nostra musica, vorrei che le nostre canzoni riuscissero a coinvolgere ed unire chi ci ascolta e noi come se tutti stessimo camminando sulla stessa strada e con gli stessi obiettivi e speranze di creare un mondo migliore. Sarà pur una cosa impossibile e da sognatore con la testa fra le nuvole ma questa è una sensazione che ho provato sulla mia pelle quando ho visto un video in cui una folla di persone ha cantato “Don’t look back in Anger” per le strade di Manchester il giorno dopo l’attentato del 2017.

Raffaele Cirillo: Mi è piaciuto il “come immaginiamo la nostra musica live” perché difatti la maggior parte dei brani non è stata mai suonata live, almeno per come sono arrangiati ora. Le abbiamo avute tutte contro in questo periodo nel “basement” ma se non possiamo suonare dal vivo, continuiamo a scrivere e mutare. Però è la dimensione che ci manca di più e non vediamo l’ora di poter dare continuità a questa esperienza.

Raffaele Lazzari: Suonare dal vivo è lo scopo di quasi tutti i musicisti, ma occorre farlo bene, sentirsi a proprio agio, non vogliamo avere fretta e bruciare le tappe. Prima di diffondere la nostra musica, dobbiamo essere pienamente soddisfatti del nostro lavoro. Io personalmente desidero dai nostri live un’esperienza coinvolgente, per noi e per il pubblico, ma soprattutto voglio scendere dal palco pensando di aver dato tutto.

Come componete le vostre canzoni ? Partire dal testo o dalla musica? Da un’idea, da Un’immagine… o da un nuovo riff di chitarra che magari avete in mente o che viene fuori improvvisando?

Luca: Partiamo dalla musica.

Vittorio: Per quanto riguarda la composizione, di metodi che abbiamo usato ce ne sono molteplici. A volta si parte da un riff, a volte da un parte di canto, altre volte ancora dalle sensazioni che ci scaturisce o il testo o la musica. Quindi capita che la musica si asservisca al testo e viceversa, dipende molto da cosa abbiamo a cuore di dire. Rimane il fatto che per ogni canzone si cerca di valutare la soluzione migliore che riesca a rendere vive le emozioni che il brano ha e lo rendono diverso dagli altri.

Raffaele Cirillo: I brani che noi consideriamo i più “riusciti” o perlomeno quelli il cui risultato è più vicino a ciò che provavamo sono nati in modo spontaneo in un momento particolarmente ricettivo e ci è venuto naturale portarli a termine con facilità. Probabilmente altre cose buone le abbiamo scartate semplicemente perché non eravamo nel momento “buono”. Però non c’è un metodo, abbiamo la fortuna o la sfortuna di essere molto emotivi nell’affrontare certe cose e assecondiamo molto le sensazioni del momento stravolgendo magari il tutto la settimana successiva.

Raffaele Lazzari: Non abbiamo un iter preciso per comporre, a mio avviso sarebbe innaturale. Non bisogna mai forzare i tempi e, quando il momento è quello giusto, lasciare che le cose prendano forma.

Alcuni dei vostri pezzi mi hanno fatto venire in mente certo brit pop anni 90, ovviamente più rockeggiante dei classici Oasis o Blur. Noto che l’arrangiamento è molto stripped down, “essenziale”. È una cosa voluta, ricercata, questa semplicità? Frutto di un lavoro… o è semplicemente il vostro stile ?

Luca: Direi che fa parte del nostro stile.

Vittorio: Diciamo che a me piace e anzi vorrei continuare a far sì che le nostre canzoni in studio riflettano almeno in gran parte quello che riusciamo a fare live. Perciò magari ora possiamo essere molto essenziali ma questo potrebbe cambiare nel futuro anche perché prevedo o meglio mi piacerebbe poter esplorare sempre di più aggiungendo col tempo sempre più orchestrazioni e arrangiamenti complessi. Un esempio di aggiunte per il live potrebbe essere la line up semplice dei primi Green Day a quella di American Idiot, quasi da rock opera e con molti musicisti sul palco o in studio. Per la composizione, gli arrangiamenti dei 1975 o degli ultimi album di Damon Albarn e Noel Gallagher.

Raffaele Cirillo: A livello di produzione musicale vivo personalmente un paradosso: in studio mi diverto a cercare soluzioni, suoni, particolarità ricercate, fronzoli e tutto ciò che la modernità ci offre ma sul palco sono più per il suono crudo e diretto “alla vecchia”, caldo e sincero e che non ti costringe a dover valutare le condizioni ideali per suonare al meglio pensando alle esigenze tecniche. Se poi un domani ci mettiamo a fare brani con molti ausili elettronici, loop e con tecnici che stanno dietro a queste cose non si può mai sapere e la cosa mi divertirebbe molto ma la filosofia del ‘Less is more’ è sempre la mia stella polare.

La dimensione live dei vostro pezzi quanto è importante? Il rock è un genere che quasi per definizione va “suonato” sul palco. Quanto il vostro album si apre a questa prospettiva? E, in aggiunta, mentre componevate e mentre suonate, avete in mente una sorta di pubblico ideale della vostra musica?

Luca: In sala prove ci immaginiamo quasi sempre di essere davanti a un pubblico e a come coinvolgerlo.

Vittorio: I live per noi sono importanti specie perché non ne abbiamo ancora fatti molti ma non mi dispiacerebbe in un futuro potersi concentrare in un periodo limitato a fare solo album in studio come i Beatles. Sinceramente ora uno dei riferimenti che mi piace di più sono i primi Arctic che erano della filosofia dell’ ”attacca il jack e suona”, cosa che vorrei potesse accadere anche con i nostri brani live almeno per ora. Per quanto riguarda il pubblico ideale, è quello ricettivo delle emozioni che la nostra musica sta trasmettendo e che possa, anche per caso, ricordarsi solo su un verso del brano, colpito dall’unione di quel momento tra musica e parole, trasformandolo poi in una verità o valore aggiunto per sé e la propria vita. Ripeto è roba da sognatori ma questa esperienza che ho descritto l’ho vissuta in primis io con tantissime canzoni. Un esempio abbastanza calzante potrebbe essere il ritornello di Stop Crying Your Heart Out degli Oasis (‘Cause all of the stars are fading away, Just try not to worry, you’ll see them someday /Take what you need, and be on your way /And stop crying your heart out’).

Raffaele Cirillo: Il mio pubblico ideale non è quello che ama la nostra musica ma quello che ascolta, che per paradosso è la cosa più rara per le band che non hanno ancora un nome e che lavorano a brani propri. Ciò che mi piace molto dei nostri brani è che non si ipostatizzano con le registrazione che diventa una sorta di fotografia del momento, ma evolvono insieme a noi soprattutto sul palco luogo in cui ci piace (a Luca e Raffaele L. meno) divagare e dove spesso nascono idee interessanti totalmente improvvisate.

Raffaele Lazzari: Le canzoni registrate sono diverse da come le suoniamo. Il live è una forma di adattamento a situazioni, a emozioni che ti coinvolgono e soprattutto ai mezzi tecnici che sono a disposizione. Così come il pubblico non siamo noi a sceglierlo: la musica appartiene a tutti, chi saprà apprezzare la nostra sarà il benvenuto ad ogni nostro concerto.

 Nel panorama musicale ferrarese come vi sentite? Vi sta “stretta” la dimensione provinciale, o puntate a fare un rock d’avanguardia, che possa però aprire la strada a un allargamento del campo musicale/geografico?”

Raffaele Cirillo: Possiamo dire che in un certo senso la storia del rock e dell’indipendente (quello vero) in Italia vive di una dimensione provinciale e di contatto con la cultura locale e relazioni dirette con il pubblico ed è una cosa che mi piace molto e che reputo fondamentale. Più che starmi stretta Ferrara mi sta stretto il fervore culturale e d’avanguardia nazionale e quindi locale ma è un limite che ti porta a guardare e cercare più lontano e oltrepassare confini ed è il motore che fa vivere l’arte. La cosa più importante per me ed è quello che auguro al nostro gruppo è di non perdere mai quell’ideale che ci accompagna fin dall’inizio e di continuare a fare le cose a modo nostro senza piegarci a logiche infondate e nel nostro piccolo essere un’alternativa. (Poi entrare a far parte di quegli elenchi di libri pubblicati indipendenti che raccontano movimenti musicali italiani che non legge nessuno, non ti nascondo che mi lusingherebbe).

Raffaele Lazzari: In questo momento la città può mostrare limiti, ma sta solo a noi trasformarli in vantaggi.

Vittorio: Poter far conoscere Ferrara e l’Italia facendo rock d’avanguardia come dici non mi dispiacerebbe però riconosco che a livello di esperienze vorrei poter avere un raffronto con realtà anche non così vicine a me e a noi specialmente perché suonare sarebbe l’unico modo con cui vorrei viaggiare.

Luca: Direi che viviamo l’esperienza in base all’attualità, la dimensione provinciale a me non va stretta perché l’importante è suonare, condividere, che poi sia alla “Sagra della salama da sugo” o a San Siro davanti a 80 mila persone, sinceramente, a me cambia poco dal punto di vista della soddisfazione. Io ritengo che, se a fine serata, anche se solo una persona va a casa felice, con un messaggio arrivato dritto dritto allo spirito e col cuore più leggero grazie alla nostra musica, ecco: a me questo basta.

Per ascoltare i loro brani:

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