Prima di iniziare questa recensione credo sia doveroso fare una premessa non da poco: conosco tutti e quattro i componenti dei The Moonlight Basement da anni, li stimo tutti tantissimo e per questo motivo ho avuto paura quando mi hanno chiesto di recensire il loro primo EP. Perché? Perché in questi casi si ha paura di essere troppo gentili o troppo stronzi, invece ho deciso di essere onesto, e, dopo un mesetto di ascolto a più riprese di questo EP, cosa posso dirvi? Che merita. E tanto. E la cosa più importante è che questo giudizio ha sorpreso anche me, se volete sapere il perché vi chiedo di seguirmi in questo viaggio.
I The Moonlight Basement si compongono di quattro elementi: Vittorio Formignani (voce principale e chitarra), Raffaele Cirillo (voce secondaria e chitarra), Raffaele Lazzari (basso e voce secondaria) e Luca Veronesi (batteria). Quattro ragazzi normalissimi, verrebbe da pensare, che, accomunati dalla passione per la musica, formano una band (in realtà nata dalle ceneri dei Foul Up, che a sua volta nacque dalle ceneri degli LSD… insomma, abbiamo capito che gli piace cambiare nome) e si mettono a fare musica. Il problema è che c’è un grossissimo “ma” in tutto ciò: ovvero che chi sta scrivendo questa recensione è cresciuto nello studio musicale insieme a due dei componenti di questa band ferrarese e quindi è perfettamente conscio di cosa sanno fare, e non, i suddetti musicisti. E qui è il primo passo che ha portato alla mia grande sorpresa nel sentire questo EP.
Il titolo dell’EP è .550 ed è dedicato a James Dean, contestualizzato come simbolo di ribellione giovanile e come idolo di tempi in cui le “rockstar” erano ben diverse da quelle a cui siamo sottoposti oggi, dove regna la finzione e la mercificazione della musica. .550 è stato scelto non a caso: è infatti la serie della Porsche con cui Dean ha fatto l’incidente che gli costerà poi la vita.
.550 si apre alla grande con quella che, secondo me, è la migliore canzone dell’intero EP: Pun Intended. Ritengo sia la migliore non tanto per la canzone in sé, ma per il modo in cui è prodotta: questo gruppo è la prova che, pure rimanendo legati alle radici del passato, la sperimentazione musicale è sempre la miglior cosa, in funzione delle tue capacità e di quel che vuoi trasmettere. L’atmosfera del brano è particolare, a tratti trasmette un rock crudo e sgraziato, in altri cerca di avvicinarsi a chi ascolta, quasi sussurrando ciò che vuol trasmettere. Davvero egregia. Tanti applausi sono dovuti anche a Federico Viola e Michele Guberti che, all’interno dell’Animal House Studio, hanno aiutato la band nella produzione e nel mixaggio.
Il singolo dell’intero EP, ovvero Rain On My Parade, è il pezzo più a stampo pop, molto più melodico rispetto al precedente, dove si percepisce anche l’origine più rude dell’intera band, meno effetti, meno tutto, si percepiscono le chitarre, i riff di basso e gli stacchi di batteria, un ritorno back to ‘60, ma con un pizzico di 2019: cori armonizzati, assoli melodici e testo più intimistico, riguardo un amore che non si sa se tornerà. In questo brano si percepisce l’essenza della band, insieme ad altri riferimenti riguardanti James Dean, come “let me run on my blue road” alla fine della seconda strofa.
Si passa poi al pezzo che potrebbe sembrare il più controverso dell’intero EP: Mrs. Satan. Ad un primo ascolto il testo sembrerebbe essere riguardante la moglie di satana vista nella nostra società, invece la storia raccontata nella canzone è ispirata a Victoria Woodhull, la prima donna che, dopo una vita assolutamente fuori dagli schemi, è riuscita a concorrere per la carica di presidente degli Stati Uniti. Aggiungendo a tutto ciò assoli al limite della distorsione, richiami al blues più antico, quello del crocevia per intendersi, e una durata complessiva di 6 minuti, viene fuori un brano assolutamente anticonvenzionale; direi in linea con lo stile di questa band.
Con Blue Dream finisce questo EP, quasi come una malinconica serenata, come se questa band non volesse finire il tempo loro concesso per far sentire la loro musica. Come se tutto ciò fosse un arrivederci, non un addio, ma malinconico, condito da un “chissà”, come il saluto di un viaggiatore solitario, che, dopo una notte passata con altri esseri umani, deve riprendere il suo viaggio.
E anche il nostro di viaggio sta per concludersi, ma prima, è necessario dire dell’altro: l’EP piace e merita, però si vede che è un primo lavoro, che ovviamente c’è ancora molto da migliorare, com’è naturale e comprensibile. Una band del genere io la vedo ancora più sperimentale: ogni tanto i suoni sono troppo crudi, gli assoli a volte si perdono in mezzo alla distorsione, anche se probabilmente questa sensazione di confusione era quella che si voleva ottenere; bisogna comunque stare attenti che non diventi un’arma a doppio taglio. Infine qualche colore ritmico in più riuscirebbe ad innalzare maggiormente le sensazioni che scaturiscono dai vari brani; anche se è giusto dire che il cambio di registro ritmico in “Pun Intended” è sicuramente apprezzato ed utilizzato al momento giusto.
La sorpresa, di cui vi accennavo a inizio recensione, per questo EP è la freschezza nell’ascoltare canzoni che non mi sarei mai aspettato di sentire dagli elementi che compongono questa band. Sono riusciti a fare un lavoro sulla loro musica degno di lode, a creare un lavoro in studio che non stona con il loro percorso, ma che, al contrario, lo arricchisce!
Freschezza e novità, devono essere queste le basi per una band che vuole fare qualcosa di originale e unico, può anche non soddisfare all’inizio, ma è qualcosa, non è la solita cover, fatta anche maluccio, ma è ciò che viene dall’animo di musicisti; di persone che hanno studiato, che sono riuscite a contestualizzare ciò che amavano come genere nel nostro tempo. È questo quello che deve fare una band, non fermarsi alla superficie, ma scavare, sempre più a fondo, fino alle fondamenta, in modo da tirare fuori il primo pezzo di sé stessi, con il fine di arrivare ad una ragione d’essere, musicalmente parlando.
Insomma, una band ferrarese di quattro ragazzi giovani, al loro primo EP, ma sicuramente non sprovveduti, con molto da raccontare. Gli ingredienti ci sono tutti, spetta a loro riuscire a tirarsi fuori dal “basement” e provare a raggiungere un pezzo di luna.