Musica che colpisce direttamente al cuore, e che è in grado di abbattere le più solide barriere erette dalle differenze culturali; questo è lo spettacolo offerto dal JazzClub di Ferrara nella sera di venerdì 27 novembre, in cui il Torrione, in collaborazione con Bologna Jazz Festival, ha accolto a braccia aperte il progetto dell’Adovabadan Jazz Band e del violinista siriano Alaa Arsheed, “Sound Routes. Notes To Get Closer”. L’iniziativa si propone di offrire ai musicisti rifugiati e migranti la possibilità di integrazione professionale nel mondo musicale, suonando in comunità locali, condividendo la propria passione. Quello di Sound Routes è un suono che percorre letteralmente ogni possibile rotta, azzera le distanze e mantiene fede a quello che dovrebbe essere il principio dell’arte, della musica e in particolar modo del jazz: creare un dialogo. Un dialogo che viene introdotto dallo stesso Arsheed, fuggito dal suo paese d’origine e diretto verso il Libano quando ancora era uno studente al High Musical Institute di Damasco, portando con sé soltanto lo stretto necessario tra cui l’inseparabile violino. “Quando ero ancora un bambino i miei genitori gestivano un centro culturale in Siria. Era un punto d’incontro e condivisione per scrittori, pittori, musicisti, e per chiunque sentisse il bisogno di comunicare. Era un ambiente stimolante, sono grato ai miei genitori per avermi insegnato a ricercare amore e bellezza in ogni cosa.”
Un unico set di pura magia, i protagonisti sono il chitarrista classico nonché fondatore della Adovabadan Jazz Band Isaac De Martin, Michele Uliana al clarinetto, Mauro Brunato al banjo, Nicola Barbon al contrabbasso e Remo Straforini alla batteria, accompagnati in questo viaggio da Arsheed e il suo violino. Il viaggio parte, dimentichiamo il luogo in cui ci troviamo e decolliamo verso la Siria, accompagnati da musiche tradizionali che il gruppo vuole condividere col suo pubblico, invitandoci a cantare e a partecipare attivamente a questo percorso che procede oscillando in avanti e indietro sulla linea temporale della musica, da Django Reinhardt e Louis Armstrong fino alle idee più moderne, sentendosi liberi di muoversi all’interno di un enorme repertorio musicale senza alcuna coercizione.
Procediamo superando frontiere e spezzando pregiudizi, Arsheed prende di nuovo parola: “Stiamo viaggiando insieme, sostenuti dalla nostra passione e dal nostro amore. Dimentichiamo le differenze di culto, l’amore è l’unica religione che seguiremo, stasera.” Così si attraversano pezzi della tradizione come Sheik Of Araby e Cake Walking Babies From Home, fino a giungere alla meta, la “sorpresa” finale. Sale sul palco Endi, si presenta come cantastorie: “Se nel 1993 avessi pensato che mi sarei ritrovato su questo palco a raccontare le mie storie non ci avrei mai creduto. Ho imparato più tardi a credere ai sogni, perché si avverano tutti se sappiamo davvero credere in essi.” Dal jazz manouche ci si trasferisce dunque alla sfera di influenza rap: i testi di Endi creano un particolare contrasto con la jazz band, e ancora una volta, durante questa avventura, scopriamo quanto i termini particolarità e diversità siano sinonimo di bellezza. “Essere tutti quanti tutti d’un pezzo, tutti di un colore, tutti provenienti da un unico paese creerebbe monotonia. Il bello è mescolarsi.” Un ennesimo invito ad apprezzare la diversità, concetto che quasi suona scontato alle nostre orecchie, ma che ancora troppo spesso non si dimostra tale.
Olivia Santimone